“Sono nata nel 1950, in una famiglia molto povera, ma nel dopoguerra le cose hanno cominciato progressivamente a migliorare, almeno nel mondo occidentale. Oggi invece è difficile immaginare cosa accadrà, dal momento che stanno cancellando tutto ciò che permette alle persone di vivere decentemente”. In un solo gesto, Chantal Akerman si situava nella Storia, e rendeva conto del mondo nella sua ingiustizia sempre più grande. Incontrare Chantal Akerman significava fare l’esperienza di una creatura speciale; con una forza fuori dal comune, capace di risollevare la produzione di un film dal vortice delle peggiori difficoltà; una creatura di una vulnerabilità immensa, all’altezza del dono di sé che caratterizza la sua relazione con gli altri, nella misura in cui l’altro non rappresenta nessun potere né politico né economico né simbolico. Questa creatura era capace di gesti straordinari, grandi e piccoli, come gli uccelli di Pasolini. Quale altro regista, ad esempio, avrebbe dato tutti i suoi risparmi al suo produttore in bancarotta come ha fatto Chantal con Paulo Branco nel 2008? Spontaneamente, senza alcun obbligo, piuttosto per un’evidenza esistenziale che si era vestita di in una espressione filosofica.

Chantal Akerman viveva e applicava nel quotidiano l’insegnamento di Emmanuel Lévinas : pensare a partire dall’altro. Anche se in un certo senso questo “altro” rimandava sempre alla stessa figura originaria (chiave), la coppia che Chantal formava con sua madre. Non si trattava di un’incapacità a guardare il mondo. Lo dimostrano le descrizioni magistrali di D’Est (1993), travelling sereni e insieme divoranti sugli abitanti dei vecchi paesi comunisti, o di De l’autre coté (2002), su popolazioni ancora più impoverite che provano a attraversare la barriera tra Messico e Stati uniti. Al contrario, le scelte formali di questi film ci dicono che si possono soltanto sfiorare le grandi masse degli altri sconosciuti, mentre possiamo approfondire all’infinito il racconto dei rapporti familiari.

In questo senso il lavoro di Akerman rimanda alla grande tradizione di Proust, dal quale ha realizzato un magnifico adattamento con La Captive.

L’opera di Chantal Akerman alterna narrazioni spaziali oggettiviste, come nel suo primo film, Hotel Monterey (1972), esplorazione paziente di un luogo newyorchese crepuscolare, e narrazioni approfondite degli affetti: il desiderio ossessivo nello straordinario Je tu il elle (1974), o l’improvviso ritorno a sé nella catastrofe letale di una donna mutilata dall’ordinarietà dell’ambiente familiare, dove ambienta il suo capolavoro, Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975).

Jeanne Dielman, magistrale figura di donna, che ha totalmente rinnovato il rapporto tra descrizione e narrazione, era sua madre, la cui presenza abita ogni suo personaggio femminile. Nel 2011 Chantal Akerman aveva voluto commentare, per me, in poche frasi, l’insieme della sua filmografia ; possiamo vedere come la sua famiglia, una famiglia di esiliati, di sopravvissuti a Auschwitz, appaia in filigrana in ognuno dei suoi film, che siano narrativi o documentari.

Prima di scegliere il suicidio, il 4 ottobre del 2015, Chantal Akerman chiudeva la sua opera sulla presenza frontale e documentaria di sua madre, protagonista dei suoi due ultimi lavori, il libro Ma mère rit (2013) e il film No Home Movie (2015). Chantal si è sempre vissuta come una figlia più che come una donna: uno dei suoi autoritratti si intitola Portrait d’une jeune fille de la fin des années 60 à Bruxelles (Ritratto di una ragazza alla fine degli anni 60 a Bruxelles, 1994), e la protagonista de La Folie Almayer si chiama Nina, la ragazzina. “Figlia” è la giovinezza ma soprattutto la filiazione. Chantal non è riuscita a sopravvivere alla disperazione di essere diventata orfana.

Come si sente in No Home Movie, ovunque si trovasse, vicina o lontana, Chantal Akerman finiva sempre le sue conversazioni con “A tra poco”. Sicuramente quando ci siamo salutate mi avrà detto “A tra poco”. Non immaginavo che sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo viste.

A tra poco, Chantal, per sempre.

Storia in prima persona di una filmografia
(a cura di Nicole Brenez)

Saute ma ville, 1968

L’opposto di Jeanne Dielman. Uno Charlie Chaplin, donna.

L’enfant aimée ou je joue à être une femme mariée, 1971.

Un film mancato e perduto.

Hôtel Monterey, 1972

Respiro, sono davvero una regista.

La Chambre, 1972

Respiro ma comodamente nel mio letto. E’ il giorno dopo la fine di Monterey.

Le 15/8, 1973

Con Sami (Szlingerbaum).

Hanging Out Yonkers, 1973

Perduto. Su dei ragazzini tossicodipendenti in un centro di rieducazione fuori New York, era molto bello.L’ho prestato all’INSAS [la Scuola di cinema di Bruxelles) e da allora non lo trovo più, e non perché non l’ho chiesto indietro.

Je tu il elle, 1974

Incosciente.

Jeanne Dielman, 23 Rue du Commerce, 1080 Bruxelles, 1975

Le cose si complicano. Ero riuscita a fare quello che volevo, e adesso: che fare dopo?

News from Home, 1976

Lo adoro. Ancora non libera da mia madre.

Les Rendez-vous d’Anna, 1978

Dimmi che mi ami, Chantal. (Sempre mia madre)

Aujourd’hui dis-moi, 1980

Sulle nonne. Non ho più una nonna. Mia madre nella voce off parla della sua.

Toute une nuit, 1982

Frammenti.

Les Années 80, 1983

La canzone.

L’Homme à la valise, 1983

La mancanza.

Pina Bausch. Un jour Pina m’a demandé, 1983

L’orrore sadico attraverso la bellezza.

Family Business, 1984

Charlot (sono io) e Aurore (Clément).

J’ai faim, j’ai froid (in Paris vu par… vingt ans après), 1984

. Una piccola commedia musicale senza canzoni.

Chantal Akerman (in Lettre d’un cinéaste), 1984

A rose is a rose is a rose, e questa non è una mela.

Golden Eighties, 1986

Dopo cinque anni . Les Années 80 erano un modellino.

Letters Home, 1986

Sylvia (Plath). Con Delphine (Seyrig) nel ruolo della madre, e Coralie (Seyrig) in quello della figlia. Suicida.

New York, New York bis, 1984

Perduto. Terzo suicidio. (Saute ma ville, Sylvia Plath e io).

Le Marteau, 1986

4 minuti, un lavoro su commissione, il martello prende il volo. Un film su un artista.

La paresse (in Seven Women, Seven Sins), 1986

Sonia lavora. Io rimango a letto.

Rue Mallet-Stevens, 1986

Gioco all’aviatore.

Histoires d’Amérique, 1988

Gli ebrei (in esilio come al solito)

Les Trois Dernières Sonates de Franz Schubert, 1989

Stordimento: Schubert. Entrata nella « vera » cultura.

Trois Strophes sur le nom de Sacher, 1989

Il debutto di Sonia.

Pour Febe Elisabeth Velasquez, El Salvador (in Contre l’oubli), 1991

Catherine (Deneuve) racconta la morte di Febe Elisabeth Velasquez.

Alla fine esce dall’inquadratura, come se fosse troppo.

Nuit et jour, 1991

Gli adolescenti.

Le Déménagement (in Monologues), 1992

Sami [Frey]. Triste e buffo come Sami. Un bambino della guerra.

D’Est, 1993

Évocazione della guerra. Implosione.

Portrait d’une jeune fille de la fin des années 60 à Bruxelles (Tous les garçons et les filles de leur âge…),1993

E’ un mondo di uomini.

Chantal Akerman par Chantal Akerman (Cinéma de notre temps), 1997

Sono nata a Bruxelles e questo è vero.

Un divan à New York, 1996

La morte di mio padre.

Le Jour où, 1997

In fondo è un omaggio a Godard.

Sud, 1999

James Byrd Jr. e la strada. La strada della morte. Senza tracce o quasi.

La Captive, 2000

Sì.

Avec Sonia Wieder-Atherton, 2002

Ancora Sonia.

De l’autre côté, 2002

…il richiamo delle allodole (l’America).

Demain on déménage, 2004

Quasi riuscito. Avrei dovuto interpretarlo.

Là-bas, 2006

Chantal in Israele. Complicato.

Tombée de nuit sur Shanghaï (in L’état du monde), 2007

Va male.

À l’Est avec Sonia Wieder-Atherton, 2009

Di nuovo Sonia.

La Folie Almayer, 2011

Ritorno alla narrazione.”