Wu Hai ha 46 anni e 71 hotel, più altri 60 in costruzione. Fondatore e amministratore delegato della Crystal Orange Hotel, da vent’anni negli affari, è salito di recente agli onori della cronaca perché ha osato scrivere una lettera aperta al premier cinese Li Keqiang, il numero due, per lamentare gli ostacoli burocratici che si parano davanti agli imprenditori privati cinesi. Il fatto clamoroso è che la lettera di Wu non si è persa nei mille rivoli della burocrazia di Stato e lui è stato perfino ricevuto a Zhongnanhai, la residenza dei leader cinesi.

Più di tanti dissidenti continuamente rilanciati dai media occidentali ma ignorati in Cina, Wu Hai è significativo perché rappresenta quel ceto medio che con i suoi bisogni e valori è l’interlocutore privilegiato del potere cinese.

Wu è l’altro perno del patto sociale che regge la Cina contemporanea. Chiede regole più chiare, meglio se favorevoli al proprio ceto d’appartenenza, ma comunque chiare. Chiede prevedibilità. Sa che è nella posizione per chiedere, non sfida il sistema, ma lo rafforza. È infatti attraverso la trasmissione di informazioni attivata dalla sua lettera aperta che il Partito recepisce indicazioni che arrivano dal basso – dove per «basso» si intende comunque la nuova borghesia dinamica – e si dota delle competenze necessarie per attivare quel metodo sperimentale che trasforma la Cina.

In questo senso, Wu è «simbolo» ed è la persona giusta per comprendere quel nesso tra burocrazia e corruzione contro cui la campagna è stata lanciata fin dall’avvento di Xi Jinping, nel 2012. Per capire come funziona il sistema-Cina. «Di solito abbiamo a che fare con sette diversi ministeri per ottenere le licenze di costruzione degli hotel – spiega – cioè circa 360 autorità di distretto, per ognuna delle quali ti confronti con circa tre funzionari. Questo significa che ti tocca avere a che fare con un migliaio di funzionari. Poi ci sono quattro o cinque dipartimenti incaricati di controlli e ispezioni.»

C’è un nesso tra tutta questa sovrabbondanza di burocrazia e la corruzione?
Quando ci sono più di quattro dipartimenti coinvolti, le funzioni spesso si sovrappongono e le regole diventano poco chiare, così il processo si arresta. A quel punto devi trovare i contatti giusti affinché riparta.

Eccesso di regole e norme poco chiare. Cosa vi danneggia di più?
Abbiamo bisogno di regole chiare e costi definiti. Per ottenerli è necessario cambiare la testa dei funzionari locali. Prima la Cina era un’economia pianificata di Stato, poi è diventata di mercato. La transizione è stata un po’ rattoppata e i funzionari non pensano ancora in termini di mercato. Nella mia lettera ho suggerito che i regolamenti siano eliminati se non favoriscono il libero mercato. La creatività del governo consiste proprio nel trovare soluzioni che rendano i processi più fluidi. Aggiungo che non sono iscritto al Partito. Secondo me è bene che gli imprenditori possano far sentire la propria voce, ma oggi non ci sono dei vantaggi così grandi a essere membri del Partito.

Come le è saltato in mente di scrivere al premier Li? Lei vive in un Paese dove la gente viene anche arrestata, se parla troppo.
Beh è piuttosto semplice: me ne stavo a casa a guardare le notizie alla televisione e ho visto un servizio in cui il premier diceva che era necessario velocizzare i processi. La mia prima reazione è stata «Accidenti, questa è una grande idea!» Ma dato che la maggior parte delle attività economiche non sfiora neppure il governo centrale, bensì quelli locali, io so perfettamente che è proprio lì che nasce l’inefficienza. Quindi, se i governi locali non cambiano la loro forma mentis, il modo in cui usano il potere, come si fa a cambiare il sistema? Così ho deciso di scrivere le mie osservazioni su Weibo [il principale social network cinese, ndr] senza pensarci troppo.

Poi è arrivato l’invito a Zhongnanhai.
Un funzionario ministeriale mi ha chiamato dicendomi di scrivere una lettera più formale. L’ho fatto e, poco dopo, è arrivata la chiamata del governo per invitarmi a discutere dei punti che sollevavo. Ci sono rimasto di sasso. A quel punto, ho chiesto l’indirizzo del posto dove avrei dovuto presentarmi: «A Zhongnanhai». Mi è venuto un colpo anche se ho scoperto che i loro uffici sono meno lussuosi di quelli che trovi presso i governi locali.

Lei ha paragonato la Cina a un’impresa? Politica ed economia sono la stessa cosa?
Non penso che abbia senso discutere di quale sistema politico sia il migliore. Il migliore sistema è quello che fa stare meglio la gente. Esistono società per azioni e aziende private. Si può pensare che le prime rappresentino un sistema migliore, perché restituiscono un maggiore ritorno agli investitori e rendono felici i dipendenti. Ma non è necessariamente vero. Io considererei la Cina una società privata – chiamiamola «Paese privato» – in contrapposizione a un «Paese per azioni». La politica e l’economia sono diverse, ma si intrecciano.

Molti cinesi dicono che il sistema cinese deve diventare un «governo del popolo», non intendendo una democrazia occidentale, ma un sistema capace di recepire i suggerimenti dal basso e, al tempo stesso, di fare gli interessi del popolo. Come pensa che la sua esperienza possa diventare “sistema”?
Il nostro sistema non funziona come la maggior parte dei Paesi occidentali: in una compagnia gigante, l’amministratore delegato non è eletto da qualsiasi piccolo azionista. Se però l’impresa funziona e lavora per gli interessi di tutti, questo è bene. Quattro o cinque anni fa, la mia compagnia era molto piccola, c’era un problema fiscale e mi rivolsi a cinque o sei uffici delle tasse per avere una risposta, ma nessuno fu in grado di darmela. Allora scrissi una lettera al sito dell’ufficio statale del fisco. Mi hanno chiamato due giorni dopo per spiegarmi tutto. Hanno il loro modo di comunicare, solo che la gente non lo sa, oppure non sa come o cosa dire. Bisogna sapere cosa e come chiedere.

È possibile stare in questo sistema e non essere corrotti?
Cos’è la corruzione? Se è pagare tangenti, io non lo faccio; se è invitare a cena qualcuno durante il capodanno cinese, lo faccio molte volte. Spesso i funzionari non pretendono neanche le mazzette. Sono i businessmen che pretendono di dargliele. La hongbao [la «busta rossa» che contiene un omaggio in denaro] va a tutti, perfino ai medici. E non serve ad avere un trattamento speciale, semplicemente a fare andare avanti la propria pratica. Ci sono tantissime zone grigie e il sistema funziona così. Voi leggete le storie delle grandi tigri che vengono arrestate. Ma che ne è delle mosche? Conosco tantissime mosche che vengono arrestate, ma non so se prendono tangenti, perché non me le chiedono. Magari le prendono da qualcuno, ma sicuramente non da me.

C’è gente che sostiene che quando la corruzione era diffusa e c’erano molte zone grigie fosse meglio. Come lo spiega?
In passato, c’era sempre un modo per sistemare le cose, adessonon c’è più un’idea chiara dei limiti della zona grigia. Ho parlato con un sindaco che si lamentava: «Abbiamo paura di superare la linea rossa. Ma allo stesso tempo, se non facciamo nulla, il governo ci penalizza lo stesso». È il loro dilemma. Io credo che per il business a maggior parte dei problemi stia nei processi di approvazione a livello amministrativo. Il governo deve rendere chiare le regole, quando ci riuscirà, avrà reso il sistema agile.