Fu detto che «non fa i vasi chi è vasaio ma, al contrario, è vasaio chi fa i vasi», sintesi metodica che distingue nettamente fra il ruolo e la funzione, dunque tra il puro riconoscimento esterno di una figura sociale e il suo valore intrinseco, la sua fondata e non meno sociale necessità.
Per un critico letterario i vasi della metafora socratica dovrebbero corrispondere alle sue expertise, contributi, pagine saggistiche ma innanzitutto (stampo primordiale del genere saggistico stesso) alle recensioni: per rimanere alla metafora, di simili vasi Cesare Cases ne ha fatti a centinaia, nel senso che ha scritto altrettante recensioni per lo più inglobate nei volumi a stampa e da ultimo in un ricco fascicolo commemorativo de L’Indice curato nel 2008 da Anna Chiarloni. (Ma si potrebbe aggiungere che il dottissimo Cases, ancorché sottile dissimulatore della propria dottrina, disseminava recensioni in ogni scrittura e qui basti pensare al carteggio con Sebastiano Timpanaro edito anni fa da Luca Baranelli, il cui baricentro è la valutazione e anzi la recensione in itinere dell’opera più controversa, Il lapsus freudiano, di quel suo amico grande filologo e pensatore).

CASES, COME TUTTI i veri recensori, non ha mai teorizzato la recensione per così dire campandola in aria ma si è limitato, e una sola volta, a rammentarne sia la pratica utilità sia, più nel dettaglio, la dinamica compositiva. Quel testo, semplicemente intitolato Ai recensori e firmato con la sigla c. c., apriva alla maniera di un editoriale il primo numero del mensile L’Indice dei libri del mese (gennaio 1984) rivista di cui peraltro Cases fu il secondo direttore tra il ’90 e il ’94. Si trattava in realtà di un vademecum dal tono prescrittivo o, meglio, predittivo, testo brevissimo e articolato grosso modo in tre o quattro punti cardinali, riassumili in altrettante parole-chiave.
Chiarezza: il che significa scrivere la recensione non-specialisticamente, se non per la quota strettamente necessaria al proprio oggetto. È vero che per lui che la recensione deve sempre mantenere un «tono» saggistico ma deve essere chiaro che essa non si rivolge agli happy few, gli specialisti, ma a tutti gli altri, i profani. (Cases deve avere pensato che chi scrive è come se scrivesse, sempre, per la conversione degli infedeli). Egli introduce implicitamente una distinzione tra quella che i tedeschi chiamano da un lato Wissenschaft Literatur (la scienza della letteratura, filologia e metodiche connesse) e dall’altro critica propriamente detta, che invece implica un gesto valutativo ed eteronomo il quale, beninteso, deve comunque mantenere fondamento filologico pure se non può ridursi ad una asettica disamina d’ordine storico-documentale.
Selezione: se la critica (appunto da krinein, cernere) è innanzitutto discernimento e distinzione, la attuale proliferazione del mercato, che assomiglia oramai completamente alla foresta di simboli di cui disse Baudelaire, impone di organizzare la sopravvivenza e perciò una drastica selezione dei prodotti anche se, aggiunge Cases, questo può paradossalmente corrispondere alla critique des beautés invocata dai neoclassici. Il che vuol dire, salvo le motivate eccezioni e insieme i rischi di una scelta così drastica e unilaterale, che dei libri brutti, dei libri superficiali, inutili, è meglio non parlare piuttosto che moltiplicarne per iscritto la pubblicità.
Riassunto: non deve stupire che dopo decenni di governo formalista degli studi letterari Cases si ponga polemicamente dalla parte dei contenuti e che tenga un elogio sperticato del riassunto.

DA SEMPRE A SCUOLA gerarchicamente sottomesso al componimento descrittivo e/o argomentativo, in effetti il riassunto è l’atto critico per antonomasia in quanto poggia sui criteri della selezione e della sintesi. Ma, di un libro, riassumere cosa? Riassumere la trama di un romanzo, la poetica dell’autore e dei suoi tratti biografici più rilevanti? Cases opta piuttosto per quella che si potrebbe anche chiamare la «posizione» di un’opera rispetto al relativo contesto culturale e storico sociale.
«Posizione» non è esattamente il suo termine (che, via Lukács, gli arriva da Franco Fortini, suo pluridecennale interlocutore e sparring partner) ma nel lessico d’autore corrisponde grosso modo a «ideologia» o, se questa parola suona oggi troppo scandalosa, a «concezione del mondo»: per un recensore, agli occhi di Cases, è essenziale stabilire quello che in un libro succede tra il dire e il fare dell’autore, quello che intercorre tra il libro in sé e per sé (cioè in rapporto ai libri suoi contemporanei). Così il recensore mantiene una postura etica prima che politica seguendo l’adagio di Aristotele, secondo il quale sono etici, degni di fede, solamente i discorsi in cui si capisce da che parte sta chi li pronuncia.

PERSINO OVVIO rammentare che Cases ha praticato la recensione nella sua longeva attività sia di germanista sia di collaboratore di quotidiani e periodici. In assenza di uno spoglio sistematico, se ne possono qui fornire esempi relativi non tanto alla produzione pubblica più nota, e si dica pure essoterica, quanto a quella riservata, esoterica per definizione, del consulente editoriale. I due esempi che seguono sono estratti dalla corposa silloge dei pareri di lettura per Einaudi recuperati ed editi una decina di anni fa da Michele Sisto.

L’ARTE RECENSORIA di Cases vi presenta due rifiuti di insindacabile nettezza e si rivolge ad cerchia di soli iniziati, i felici pochi del comitato editoriale, prodigando loro i doni di una scrittura dove brilla il suo stile pungente, la proverbiale brevitas di colui che gioca a carte scoperte e va subito al sodo formulando un giudizio mai ostacolato da opportunismo o dagli interdetti della correttezza politica.
Per coloro che leggono, l’antidoto è un’ironia che in pagina si rovescia volentieri nell’auto-ironia. Evidente, a questo punto, l’importanza dell’ultima parola-chiave che Cases affida agli aspiranti recensori dell’Indice, la stessa parola che spiega rispettosamente al lettore i motivi della scelta di un libro, o meno: d) Motivazione e, al riguardo, sarà bene lasciare la parola a Cases medesimo nella clausola dell’ammonimento Ai recensori: «Ma l’essenziale è che attraverso l’esposizione il lettore acquisisca una chiara idea di quel che il libro è e delle ragioni della sua importanza, ragioni che hanno fatto sì che lo scegliessimo a differenza di altri». In altri termini, alfa omega di ogni recensore corrispondono alla pronuncia di un giudizio di valore come peraltro è, o dovrebbe essere, obbligo della saggistica e della critica tout court.

LO RILEVA UN NITIDO PROFILO di Cases a firma di Pier Vincenzo Mengaldo che ne evidenzia il conio costante dei cosiddetti aforismi critici, posto che l’aforisma è «sottomultiplo della saggistica» mentre l’ironia – sono ancora parole di Mengaldo – «è il principale connettore fra attitudine propriamente critica ed attitudine saggistica e relativi discorsi». E viene in mente un ulteriore paradosso: lo stile ora bonario e sornione ora invece fiammante e acuminato del critico milanese ci rammenta infatti che, educatosi sulle ampie volute architettoniche e sui ritmi magnanimi di Lukács, egli ha via via rinvenuto una affinità elettiva con i maestri della brevità bruciante, i virtuosi del rasoio di Occam che si chiamano naturalmente Karl Kraus e Bertolt Brecht.
Va infine tenuta a bada la data dell’Avviso ai recensori, 1984, giusto l’incipit di quella che noi oggi conosciamo, nella sua perfezione ineffabile, come età neoliberale: la sua progressiva egemonia cominciava allora a comportare il collasso dell’attitudine critica, presto la sua estinzione e successiva rimozione dal senso comune mentre veniva subentrando ciò che Ignacio Ramonet avrebbe definito una volta per tutte La Pensée Unique, il Pensiero Unico.

 

SCHEDA

Il simposio a lui dedicato a Siena, nei giorni 27 e 28 ottobre

Si svolgerà nel complesso di Porta Romana, palazzina di Fisica, aula 5 (online: unisi.webex.com/meet/cesare.cases) il convegno di studi «Cesare Cases. L’opera-L’archivio -L’eredità» organizzato dall’Università di Siena che presso l’Archivio Fortini ospita il Fondo relativo al grande germanista. Domani, ore 14 e 30, interventi di Eleonora Bassi, Livia Cases, Michele Sisto e Luca Lenzini sulla donazione dell’Archivio di Cesare Cases e le relazioni, coordinate da Niccolò Scaffai, di Anna Chiarloni, Alberto Cavaglion e Roberto Venuti. Venerdì 28, ore 9 e 30: coordinate da Paola Del Zoppo, relazioni di Salvatore Spampinato, Michele Sisto, Olaf Muller, Matilde Manara, Magda Martini; ore 14 e 30: coordinati da Luca Lenzini, interventi di Massimo Raffaeli, Donatello Santarone, Marco Federici Solari e Gabriele Fichera. Nella sede del convegno, un’esposizione di documenti e materiali del Fondo Cases.