La storia del movimento anarchico è una serie di clamorosi corsi e ricorsi che hanno sempre in comune tra loro un finale tragico o comunque ingiusto. Questo sembra suggerirci ancora una volta Giuseppe Galzerano nel suo Cesare Batacchi. Un innocente condannato all’ergastolo (con Eugenio Ciacchi, Galzerano Editore/Atti e memorie del popolo, pp. 560 euro 25. Per ordinarlo: 0974.62028; galzeranoeditore@tiscali.it). Una bomba, un complotto, un processo farsa e un pugno di innocenti che finisce in carcere: non siamo però nel 1969 a Milano, la bomba non è esplosa nella Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana, gli innocenti non sono gli anarchici del Ponte della Ghisolfa e il solito sospetto non è Pietro Valpreda.

SIAMO A FIRENZE, è il 18 novembre del 1878 e un’esplosione dilania tre uomini e una bambina che si trovano alla manifestazione monarchica in solidarietà a re Umberto I, scampato il giorno prima all’attentato napoletano di Giovanni Passannante. La bomba esplode e in piazza – dal nulla, improvvisamente, misteriosamente – appaiono cartelli con scritto «Morte agli internazionalisti, agli assassini del popolo». Tutto organizzato? Giuseppe Galzerano, in una ricostruzione a metà tra la ricerca storica e il giornalismo d’inchiesta, rimette insieme pezzi di una vicenda italiana e semina dubbi dove invece si pretenderebbero solo certezze.

Lo fa attraverso una collaborazione d’eccezione, quella con Eugenio Ciacchi, giornalista anarcosocialista che nel 1900 compila con minuzia venti dispense con cui ricostruisce l’assurdo processo contro il macchinista teatrale Cesare Batacchi e i suoi compagni, finiti alla sbarra, e ovviamente condannati, per la bomba di Firenze. Più che il dibattimento in sé, a impressionare è il clima da forca che si respira pagina dopo pagina ogni volta che si parla della società italiana del tempo.

La montatura giudiziaria – che, sottolinea giustamente Galzerano, avviene nel paese di Cesare Beccaria, dove alle migliori intenzioni non fanno mai seguito le buone azioni – è implacabile: non basta l’evidenza che gli internazionalisti non avessero mai né pensato né organizzato l’attentato, non bastano le ritrattazioni dei testimoni, non basta l’assenza di prove, non bastano le (dimostrate) macchinazioni della questura di Firenze.

I colpevoli sono tali a prescindere e per loro non c’è garantismo che tenga. Batacchi, condannato all’ergastolo, viene addirittura candidato alla Camera dal Partito Socialista alle elezioni del 1900 (altra clamorosa affinità con la storia di Valpreda, candidato dal manifesto alle sfortunate politiche del 1972), eletto, non gli sarà mai consentito di accedere al Parlamento. Qualche mese dopo, re Umberto finalmente gli concede la grazia, anche se lui non ne aveva mai fatto richiesta.

IL MERITO di raccontare ancora una storia del genere sta tutto nel fatto che, se non si leggessero le date, il caso Batacchi potrebbe tranquillamente essere avvenuto la settimana scorsa: oggi come nel 1878 gli anarchici restano gente da bastone e da galera. E il Paese resta quello che non ha tanto bisogno di eroi quanto di colpevoli per poter assolvere se stesso.