Cerco di portare i ragazzi dentro alla macchina cinema
Incontri Carlo Hintermann, docente nel workshop del Milano Film Network, In Progress, racconta il suo lavoro con i giovani partecipanti: «Fare film è un lavoro collettivo: bisogna confrontarsi con gli altri»
Incontri Carlo Hintermann, docente nel workshop del Milano Film Network, In Progress, racconta il suo lavoro con i giovani partecipanti: «Fare film è un lavoro collettivo: bisogna confrontarsi con gli altri»
Come lavorate con gli studenti?
Il punto di partenza quando si fanno workshop come questo in cui c’è un tempo limitato, è cercare di capire dove si può mettere mano al progetto. Nel mio caso ho cercato di dare dei suggerimenti, di far entrare i ragazzi nel tema della macchina cinema, di spingerli cioè a organizzare il discorso attraverso il cinema. Il che significa dare anche degli input su come girare, sul modo di articolare le diverse proposte attraverso le immagini. E questo si può spiegare anche utilizzando esempi concreti di film in linea col progetto che viene discusso ogni volta. Il punto è mostrare un ventaglio di possibilità, offrire delle chiavi per risolvere i problemi. La distanza tra un incontro e l’altro con gli studenti permette di vedere quanto queste finestre aperte, questi strumenti dati sono stati metabolizzati, se a quel punto consentono veramente di avviare un percorso. In diversi casi funziona. É interessante dosare la pars destruens e quella construens, problematizzare delle cose che sulla carta sembrano funzionare e subito dopo no, e al tempo stesso dare anche gli strumenti per superare le difficoltà.
Il workshop prevede anche delle masterclass.
La cosa davvero interessante del percorso che si fa qui sono le persone che i ragazzi incontrano: registi, produttori, critici, che nel concreto hanno risolto i problemi che loro devono affrontare col loro film. E questo fa la differenza, perché li mette davanti al fatto che è possibile portare a termine un progetto Quindi il workshop diventa anche un percorso di crescita molto concreto, di cui si vedono i risultati.
Di Costanzo ci ha parlato della solitudine in cui si trova chi oggi vuole girare un documentario.
Credo che questo sia un problema molto italiano, per cui progetti come In progress, siano workshop, masterclass o altro servono molto a riempire il generale vuoto di dialogo. C’è una sorta di mitologia per cui il film che si fa è sempre l’ultimo, sempre il capolavoro, quando invece il cinema è come il mestiere del fabbro, più cancelli fai più vai avanti e meglio è. Se si dimentica questo aspetto tutto va nel verso sbagliato, si finisce per mettere in secondo piano il lavoro esaltando invece quella mitologia di cui parlavo prima. Ecco perché è importante confrontarsi con chi il cinema lo fa, e soprattutto con chi fa un cinema molto personale che si è magari scontrato con l’ostilità del sistema italiano. Molto spesso l’insegnamento più semplice è che il cinema è veramente un lavoro collettivo, composto di tanti elementi. Qui i ragazzi si rendono conto di quanto discutere con una persona che ti aiuta e che ti indirizza serva a migliorare i loro progetti.
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