«Letta ha fatto un ottimo discorso, un discorso di verità. Le difficoltà di giustificare un governo con il Pdl non erano poche. Ho apprezzato l’invito a concentrarsi sulle politiche, più che sulla politica. Per questo mi dispiacciono alcune sue dimenticanze. La prima, sulle donne». Michela Marzano, neodeputata Pd, è filosofa morale, docente dell’Università di Parigi Descartes, e autrice del fortunato Volevo essere una farfalla, diario di una donna che esce dal tunnel dell’anoressia.

Quello delle donne è il capitolo mancante?

Ci è arrivato alla fine, dopo lo sport e il turismo. E come un’aggiunta, perché non se ne può fare a meno. Le ha citate punto e basta. Che siamo un paese con poche opportunità per le donne è vero, ma almeno bisogna capire in che direzione si va per migliorare le cose. Ma la scelta di Letta non mi stupisce: nel documento dei saggi le donne sono citate 13 volte, ma le misure su cui si ragiona si riducono al telelavoro. Una scelta che intristisce. La conciliazione dei tempi non è una questione solo femminile. Dietro le proposte dei saggi c’è la cultura secondo cui spetta alle donne occuparsi della famiglia. Tutto il contrario della rivoluzione culturale di cui abbiamo parlato. Pensare al lavoro femminile e parlare di telelavoro vuol dire considerare che le donne hanno meno competenze e aspirazioni. Letta ha parlato di welfare al femminile: nessun accenno al congedo di paternità, alle culture, alle politiche per cambiare la mentalità.

Ha parlato della violenza sulle donne.

Io direi che ha sorvolato su questo tema, anzi, di più, non ha nominato il femminicidio. È un problema che si pone in tutta Europa. Dall’Unione non arrivano solo politiche economiche. Arrivano politiche a tutto tondo, anche sulle donne e sui diritti. Letta non ne ha fatto cenno. Come non ha fatto riferimento ai diritti di terza generazione, su questo l’Italia è l’ultima della classe. Anzi, i diritti delle minoranze li ha completamente ignorati.

C’è una ministra dell’integrazione dal curriculum eloquente.

Non basta nominare una ministra nera per esaurire il discorso dei diritti. Di lei Letta ha detto che la sua presenza stessa crea ponti. Ma sono molti i ponti culturali di cui abbiamo bisogno: quelli fra abili e disabili, fra omosessuali ed etero. A tutti si è detto che i loro diritti debbono aspettare. Invece le differenze sociali non sono solo economiche, ma anche quelle fra chi ha pieni diritti e chi aspetta il riconoscimento della propria differenza, e dell’uguaglianza.

Non sembrano le priorità del governo Letta-Alfano. Né temi di coesione fra Pd e Pdl.

Cercherò di portare avanti questi temi in parlamento. Sel ha presentato una proposta sui matrimoni gay, la firmerò. Io ho preparato un testo per la revisione integrale della legge 40, che prevede l’inseminazione eterologa.

Al tempo del referendum fu un tema di grande conflitto. Non teme che il Pd non accetterà di uscire dall’agenda Letta?

In aula si possono creare altre maggioranze. Letta ha detto che bisogna ridare dignità all’attività parlamentare: lo prendo sul serio, sapendo che i temi di cui sto parlando sono importantissimi, molto sofferti a livello sociale, sui quali si era creata una vera aspettativa. Era questo il senso del rinnovamento che abbiamo promesso. Per questo ho accettato la candidatura e ora sono deputata.

Non crede che dal Pd le consiglieranno prudenza? Che si crei una maggioranza alternativa in parlamento può essere pericoloso per la tenuta politica del governo Letta-Alfano.

Ho votato la fiducia al governo e non ho intenzione di metterlo in pericolo. Ma il lavoro del parlamento deve avere una sua autonomia. E su certi punti non sono disposta a cedere: dobbiamo comunque far avanzare il dibattito e il livello dei diritti in questo paese.