Nella vicenda del rimpatrio forzato di Alma Shalabayeva e della figlia di sei anni Alua tutto può cambiare a seconda dell’interpretazione della successione temporale di due documenti allegati alla relazione del capo della polizia Alessandro Pansa e depositati in Parlamento. Si tratta di due cablo da Astana con cui si segnala la possibile presenza nella villetta di Casal Palocco di Shalabayeva assieme al marito Mukhtar Ablyazov, oligarca e oppositore del presidente kazako Nursaltan Nazarbayev, ritenuto fino a ieri l’unico obiettivo del blitz della polizia che porterà al fermo e all’espulsione della moglie e della figlia. «Deport her», «rimpatriatela», si legge, nel secondo documento che il Corriere data al 31 maggio, quindi a blitz già avvenuto, ma che per Repubblica è arrivato il 28 maggio, prima cioè che i poliziotti italiani facessero irruzione nella villetta la notte stessa. Se l’interpretazione di Repubblica fosse quella giusta allora «cambierebbe molto», spiega il senatore Luigi Manconi al manifesto. «Interpretare la successione non è semplice», aggiunge il presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani e presidente di A buon diritto Onlus. «Se il cablo è del 31, ossia dopo l’arresto della signora, abbiamo una richiesta di rimpatrio. Se invece si colloca il cablo in un tempo precedente l’irruzione, allora l’intera operazione aveva tra i suoi fini proprio trovare Shalabayeva. Quindi non si trattò di una decisione maturata quando ci si accorse che Ablyazov non era lì. Personalmente, pur con qualche dubbio, sono orientato a datare il cablo prima dell’irruzione».

Quali argomenti le suggeriscono questa ipotesi?

Leggendo quelle frasi sembra si stia parlando di un momento precedente. Un momento in cui si comunica chi e cosa ci potrebbe essere nella villetta: appunto la signora Shalabayeva.

Come giudica il ruolo del Viminale?

C’è stato un gravissimo coinvolgimento di altissimi funzionari. Il vero problema è che tra segmenti e uomini dello Stato italiano, anche di alto livello, e di altri Stati, sono state intrecciate nei decenni relazioni assidue e una stretta promiscuità che hanno portato a collaborare con gli apparati di altri Paesi a prescindere dal livello di civiltà giuridica, dagli standard di rispetto dei diritti umani e dai criteri che qualificano un Paese come uno stato di diritto. Un esempio tra tanti sono i rapporti che si sono instaurati tra pezzi delle istituzioni italiane e quelli dello Stato libico nel corso dei decenni. Quello che colpisce in questa e in altre circostanze, a prescindere dall’accertamento di una responsabilità politica, è la sudditanza psicologica e la soggezione morale ad apparati stranieri. Soltanto così si può spiegare la presenza eccessiva, ma direi ossessiva, dell’ambasciatore e degli uomini della rappresentanza kazaka nelle nostre sedi istituzionali. La situazione è persino più grave di un’eventuale complicità politica, ovviamente scandalosa se provata, perché rivela una sorta di automatismo che fa si che gli ambasciatori possano dare ordini ai nostri funzionari. Ma c’è un altro problema. Mi è toccato in sorte di essere il primo a sollevare la vicenda in sede parlamentare. Come commissione per la tutela dei diritti abbiamo avuto un’audizione con ong impegnate in Kazakistan, Ucraina e Georgia. Nel corso di queste audizioni ci è stato sottoposto il caso e la vicenda è diventato problema istituzionale. Nel dibattito sulla mozione di sfiducia al ministro Alfano ho ascoltato parole sdegnate e sincera deprecazione. Colpisce però che nessuno, o quasi, di quanti oggi gridano allo scandalo lo abbia mai fatto per la stessa sorte che tocca a centinaia di individui anonimi, senza avvocati e senza alcuna risorsa, né tutela, a seguito di norme in contrasto con numerosi principi di diritto internazionale e con tutte le convenzioni sottoscritte dal nostro Paese. Come commissione abbiamo visitato oggi il Cie di Ponte Galeria, ultimo luogo dove è stata trattenuta Shalabayeva. Non c’era acqua calda, i trattenuti sono costretti a lasciare le bottigliette al sole perché si riscaldino e i materassi ad asciugare perché zuppi per l’umidità notturna. Se c’è una lezione che dobbiamo trarre è che non si posso affidare provvedimenti di tale portata come le decisioni sulla libertà personale, uno dei diritti fondamentali, ai giudici di pace, pensati per infrazioni amministrative.

La vicenda Shalabayeva ha forse fatto luce su queste storture?

Lo scandalo ha fatto luce sulla vicenda della signora Alma e di Alua, ma non so quanto abbia svelato l’intero sistema. L’Onu ha definito l’espulsione una extraordinary rendition. In questi giorni si riparla di un altro caso che ha coinvolto l’Italia, quello del rapimento di Abu Omar.

Cosa dicono le due vicende messe a confronto?

È messa in discussione la piena sovranità dello stato democratico, compromessa da tante circostanze. Abbiamo visto per esempio che la seconda perquisizione è stata pretesa dall’ambasciatore kazako. Per quell’ordine, la piena sovranità dell’Italia è stata sospesa. Il nostro è un sistema democratico robusto in grado di superare queste terribili prove. Sono convinto che i regimi democratici possano patire deficit nella tutela dei diritti e nel rispetto delle garanzie. Ma hanno risorse per salvarsi.