Myo Win sfoglia il mensile The Irrawaddy dal balcone all’ottavo piano di una palazzina di Myinigone, ex quartiere popolare, oggi destinato alla classe media e recentemente sempre più popolato da giovani espatriati europei. L’area adesso è per le tasche della classe media di Yangon, anche se nessuno ha asfaltato le strade fangose o curato i palazzi sempre più decrepiti.

Di fronte a Myo Win, l’oro della Shwedagon Pagoda riflette la tensione del cielo plumbeo. Wathann, il monsone, presto passerà e la bella stagione tornerà ad accompagnare il Myanmar nel suo terzo anno consecutivo sotto un governo semi-civile. Dopo vent’anni in esilio, i giornalisti che rendono The Irrawaddy una delle letture più affidabili e documentate oggi in Myanmar sono tornati a Yangon.

Non si fa che parlare di opportunità in Myanmar: opportunità di investimento, opportunità di lavoro, opportunità per la democrazia e il progresso. C’è tanto lavoro da fare qui, dove ancora mancano le leggi che regolamentino il mercato e permettano di lavorare. Non c’è che da innovare, rinnovare, inventare, costruire, cambiare. Ma all’entusiasmo si accompagna la difficoltà di intraprendere una strada sconosciuta, che richiede tempo per essere scoperta, capita e quindi finalmente percorsa.

Myo Win è di etnia Kachin, ma è cresciuto nello stato Shan e da una decina di anni si è spostato a Yangon. Prima per studiare, poi è rimasto per lavorare. Negli ultimi mesi ha deciso di buttarsi nel settore più chiacchierato del momento: real estate, case, appartamenti, terreni. Parla inglese, è intraprendente, vuole provare a guadagnare bene, per la prima volta, sfruttando la bolla edilizia che impazza a Yangon. Ha un’opinione su tutto, ama essere informato.

Legge news in inglese, frequenta i giovani stranieri in arrivo a frotte e chiede un po’ di pazienza a chi si scatena contro i birmani che «non sanno lavorare».
L’incredibile paradosso del Myanmar contemporaneo presenta un mercato del lavoro con nuove posizioni, mai sentite nominare prima tra questi confini, con alti stipendi altrettanto sconosciuti, e la mancanza di lavoratori con una formazione adatta.

Molti giovani birmani stanno partendo per periodi di studio all’estero e molti tra quelli che li hanno preceduti stanno tornando, ma c’è anche chi, come Chan Myae Khine, giovane professionista nel campo dei media molto attiva on-line, esita a lasciare Singapore finché non avrà sufficiente stabilità economica per poter sviluppare il suo progetto personale. «Se posso essere onesta, non credo di poter lavorare in un’azienda locale [in Myanmar]. Sono molto suscettibile quando in campo lavorativo mi scontro con posizioni assurde. La cultura lavorativa è troppo distante da quella di Singapore. Io non ho mai lavorato in Myanmar e non credo di riuscire ad adattarmi a quell’ambiente».

Il suo sogno è di aprire la sua agenzia media, pubblicando un buon giornale, un canale tv sul web e realizzare un progetto dedicato ai giovani svantaggiati.
Non c’è da stupirsi che il mondo dei media desideri rinnovarsi: i controlli preventivi della censura sono stati aboliti, nuove licenze per quotidiani privati sono state assegnate e il mercato della pubblicità sta esplodendo.

Oggi in Myanmar tutti hanno bisogno di farsi promozione, di farsi conoscere: banche, assicurazioni, ospedali, college, compagnie aeree, hotel, ma anche vetri infrangibili, pasticcerie. Nuovi prodotti, nuovi servizi e nuovi clienti.

Ma dove sono i reporter? Come si risolve la contraddizione di un paese dove le testate giornalistiche offrono mensilmente nuove posizioni, ma non ci sono giornalisti a occuparle?

The Myanmar Times ha organizzato un training di quattro settimane, per formare aspiranti giornalisti e tra loro individuare nuovi membri della redazione. Lo stesso giornale si è reinventato quindi formatore e agenzia per il lavoro.

Alla vigilia del lancio dei primi nuovi quotidiani privati ad aprile, Aye Mya Kyaw, editor del 7 Day News Journal, riportava al The Atlantic che la sua testata aveva offerto un corso di 45 ore, per il quale si erano candidate ben cento persone. Delle dieci selezionate, però, solo sette avevano concluso la formazione.

Perché? Chi ha qualche qualifica, come una laurea o la conoscenza di una lingua straniera, spesso prova colloqui per lavori ben retribuiti anche se non rispondono alla propria passione. E in questo momento, per questa ristretta fascia di popolazione, non mancano le alternative.

A volte però va diversamente. Pochi giorni fa, in una newsroom al secondo piano di una palazzina del centro, anch’essa decadente e con vista cantieri, Aye Kyawt Khaing ha ricevuto la proposta di collaborare come freelance dalla testata dove sta concludendo un tirocinio durato tre mesi. Ha ventotto anni, si è trasferita dalla lontana casa dei genitori in un ostello a gestione familiare a Yangon per sfruttare questa opportunità e migliorare la sua carriera. Prima scriveva solo in birmano, ma adesso punta all’inglese.

Diverse testate gestiscono le news sia in birmano che in inglese e presto se ne aggiungeranno altre. Si rivolgono al pubblico internazionale: policy makers, Ambasciate, funzionari dell’ONU e delle ONG, governi stranieri e migliaia di birmani che vivono all’estero.

C’è chi inizia traducendo alcuni contenuti dal birmano, anche se avere in redazione traduttori all’altezza del compito è una fortuna rara. Spesso si ricorre a persone con precedente esperienza nel campo del giornalismo e questo porta inevitabilmente a figure il cui background è nelle testate governative o dell’esercito, uniche fonti di news per lungo tempo in Myanmar. Per sopperire all’inglese pericolante e alla tendenza a non riportare dati e fonti, le testate stanno assumendo giornalisti stranieri.

Con l’internazionalizzazione arrivano i tirocini, i rapporti da freelance, con tutta la loro portata di precarietà e incertezza all’occidentale. Aye Kyawt Khaing è ottimista, ma ha appena perso l’opportunità di un contratto stabile. Forse ci vorrà ancora del tempo prima che anche in Myanmar l’offerta di collaborare come freelance significhi «non possiamo/non vogliamo assumerti».

Ciò che implica più rischi per il giornalista indipendente in Myanmar è l’assenza di una legge che tuteli questa professione. Da molti mesi è in discussione una bozza di legge molto criticata da organizzazioni locali e internazionali. Recentemente è stata approvata nella camera bassa del Parlamento, grazie anche al voto dei membri del partito di Aung San Suu Kyi. Questi in seguito hanno ammesso di non essere al corrente dei contenuti della legge: con tutto il lavoro di questi mesi è impossibile rimanere al passo.

Il ritmo del cambiamento è un aspetto critico e affascinante. Tra gli elementi che esprimono più potenziale nella transizione del Myanmar verso la democrazia è la contingenza unica di un paese congelato nel tempo che si apre all’improvviso al mondo nel 2013: seppur privo di un valido sistema educativo nazionale, grazie a Internet e ONG locali, esistono culture specialistiche ed estremamente innovative.

Il più famoso blogger birmano, Nay Phone Latt, classe 1980, dopo quattro anni trascorsi in prigione oggi ha deciso di lavorare in stretta collaborazione con il governo. La riconciliazione con i militari è vista da molti in Myanmar come l’unica strada percorribile: confrontandosi con loro, Nay Phone Latt cerca di diffondere una conoscenza sul mondo di Internet e la libertà d’espressione che tra le fila del Parlamento è pressoché assente.

I geek delle start up tecnologiche sono rari, e i sostenitori dell’agricoltura organica -per citare un altro esempio di pratica qui innovativa- sono una nicchia, eppure questi individui al corrente delle migliori idee sviluppate nel resto del mondo ci sono, lavorano, discutono, appaiono a Yangon e soprattutto su Facebook, vetrina on-line per eccellenza in Myanmar.

Facebook è fondamentale per comunicare, non solo a livello di social networking, ma anche a livello politico e ufficiale. È qui che lo stesso Ye Htut, portavoce del Presidente, ha annunciato i vincitori della cruciale gara d’appalto internazionale per l’assegnazione delle licenze per la gestione del mercato della telefonia. È qui che moltissime aziende annunciano le posizioni aperte e si fanno conoscere dai potenziali candidati.

Dopo cinquant’anni trascorsi sotto il peso di una dittatura autarchica e sanzionata dalle potenze occidentali, le novità arrivano a gran velocità e assumono forme birmane. Vedremo come la corsa folle del capitalismo interagirà con l’attuale mondo del lavoro e quali pratiche innovative si genereranno dal controverso viaggio verso il futuro del Myanmar.