Cosa non si fa per campare! Per esempio, ritrovarsi a scrivere poesie d’occasione per i dipendenti di una multinazionale sparsi in tutto il mondo: un lavoro insolito, ma sicuramente redditizio e tutto sommato non privo di fascino, almeno per come lo descrive su Lit Hub il protagonista di questa avventura, lo statunitense Brian Sonia-Wallace.
Premessa: all’impresa il giovanotto non è arrivato del tutto impreparato, visto che dal 2014 si paga l’affitto e le bollette sistemandosi sul bordo di una strada con la sua vecchia macchina da scrivere e componendo versi su richiesta dei passanti.
Il progetto, che si intitola «RENT poet» e forse in parte nasce sulle tracce del Dial-a-poem («Telefonami una poesia») ideato da John Giorno nel 1968, ha avuto un discreto successo: nel suo sito Sonia-Wallace scrive infatti che non solo «RENT poet ispira conversazioni significative con le persone sulle loro speranze, paure, ricordi e sogni per il futuro», ma con il passare degli anni è diventato una start-up che offre addestramento e impiego a giovani poeti pronti a lanciarsi «on the road».
Insomma, quando il 25 maggio 2020 Sonia-Wallace – bloccato a casa per il lockdown da coronavirus – ha trovato nella sua casella email un messaggio, «Poeta cercasi per incontri aziendali via Zoom», non si è stupito più di tanto. Quello che gli veniva proposto era in sostanza di continuare il suo progetto, sia pure attraverso lo schermo di un computer e per conto di una multinazionale desiderosa di escogitare iniziative che facessero sentire in qualche modo uniti i suoi dipendenti, obbligati dalla pandemia a lavorare a distanza.
«Quel mese, mi ha spiegato la coordinatrice delle attività, avevano lavorato insieme a dei disegnatori e la cosa era andata molto bene. Gli impiegati si erano collegati via Zoom per farsi fare delle caricature e si erano divertiti tantissimo. Si poteva immaginare qualcosa del genere con la poesia?».
È stato così che meno di un mese dopo, il 23 giugno, Sonia-Wallace si è svegliato alle quattro e mezza del mattino, ha fatto la doccia, si è preparato un caffè e si è seduto alla scrivania con la fedele macchina da scrivere accanto al computer, senza sapere bene chi gli sarebbe capitato di incontrare.
Quella mattina, racconta, la risposta è stata piuttosto fiacca, «solo una manciata di curiosi al termine della loro giornata di lavoro nelle Filippine e in India, dove i riti religiosi venivano cancellati per la prima volta in trecento anni a causa del virus».
Presto, però, l’iniziativa ha preso piede, ed ecco l’inesauribile poeta su commissione spremere versi per il funzionario orfano della sua comodissima poltrona da lavoro abbandonata nell’ufficio deserto («Intendo calore quanto/ tu intendi confort? Oppure/ son solo un altro culo/ dolorante seduto a casa?») o per l’impiegata australiana costretta a tornare a casa dai genitori e a rinunciare all’agognato viaggio intorno al mondo («otto mesi ripiegati in 17 giorni / tutto il pianeta in una cameretta / da ragazza, meno la ribellione»).
O infine per la coppia che si è fatta trovare a letto e ha chiesto una poesia per l’amato cane, pure lui tra le coperte: «zampa-danzante, / cuor-riscaldante, / letto-furfante…».
Il bilancio finale? Buono, per Sonia-Wallace, anche se nella maggior parte dei casi i suoi interlocutori «si sono limitati a ringraziare beneducatamente prima di rituffarsi nel flusso delle loro email». In fondo, scrive, «in questo tempo dove il bicchiere è mezzo vuoto… una poesia non salverà un mondo in fiamme, ma può aiutare le persone a prendersi cura delle proprie storie».
Non gli si può dar torto, e forse non è neanche troppo poco.