Il ricatto basato su immagini compromettenti a sfondo sessuale è antico come il noir. Philip Marlowe, modello di tutti gli investigatori con o senza divisa, si presentò al mondo, nel 1939, con l’incarico di scoprire chi ricattava un nababbo di Los Angeles usando foto scollacciate della figlia. Nell’ultimo romanzo di Javier Cercas, Indipendenza (traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, pp. 416, € 18, 00) il secondo noir pubblicato poco dopo il successo del precedente Terra Alta, a essere ricattata grazie a video vecchi di vent’anni è la potente e astuta sindaca di Barcellona, politica spregiudicata in folgorante ascesa, cui la attuale prima cittadina della capitale catalana, Ada Colau, ha prestato molti tratti.

Barcellona nel destino
Ambientato in un futuro prossimo, il romanzo torna a proporre come protagonista Melchor Marin, ex detenuto passato dalla parte della legge dopo la lettura in carcere dei Miserabili, che ha lasciato la Terra Alta per Barcellona. In un secondo tempo, tuttavia, è arrivato a capire che il suo luogo esistenziale è là dove riposano le ossa della moglie uccisa nel libro precedente, e si prepara a lasciare il servizio per reincarnarsi in un bibliotecario. A Barcellona Marin dovrà comunque tornare per far luce su quel ricatto, che mette con le spalle al muro la bellicosa sindaca e rischia di costarle non solo molti soldi ma anche la poltrona e la brillante carriera.

In Terra Alta Cercas adoperava il noir come maschera per indagare il ruolo della letteratura: non tanto fra gli accademici e gli esperti quanto fra quei lettori, tutt’altro che «semplici», per i quali i libri non sono solo intrattenimento bensì esperienze emotive profonde, tempestose, capaci di cambiare il corso della vita. Indipendenza invece è un atto d’accusa contro il Proces che tra il 2012 e il 2017 portò al referendum sull’indipendenza della Catalogna e allo scontro frontale con Madrid.

Cercas, che all’indipendenza era contrario e che perciò venne accusato – in particolare dalla sinistra dalla quale proviene, e non solo in Catalogna – di comportarsi da traditore, usa l’espediente del romanzo noir per spiegare le sue ragioni, difendersi e contrattaccare. Ne viene fuori che l’indipendentismo, a suo parere, è stato voluto, indirizzato e guidato dall’eterna oligarchia catalana: usato come cinico strumento di pressione, serviva a costringere il governo centrale a dirottare fondi e sostegni a favore della Catalogna nel cuore della crisi dei debiti sovrani iniziata nel 2011.

Pedine inconsapevoli
I milioni di catalani che sfilarono per le strade e votarono al referendum sarebbero stati – secondo Cercas – solo pedine nelle mani di quelle poche grandi famiglie che da sempre usano il popolo a proprio vantaggio. Nel calcolo non era compresa la possibilità di portare la sfida alle estreme conseguenze, come poi è invece successo, soprattutto perché alla guida della Catalogna c’era quel pasdaran integralista di Puigdemont, debitamente sfuggito al controllo.

La vicenda del ricatto ai danni della sindaca, e degli antichi crimini che lo rendono possibile, è una evidente allegoria della crisi catalana, dove ad agire, appunto, convinti della propria impunità di censo, sono i rampolli di quelle grandi famiglie che da sempre, a volte apertamente, più spesso nell’ombra, esercitano e anzi incarnano il potere reale. Nella torbida vicenda che dopo vent’anni sfocia nel ricatto, sono loro a manipolare, strumentalizzare e usare come pedine chi gli serve e fino a quando gli serve, salvo poi dimenticarlo come inutile spazzatura.
In questo eterno gioco delle parti in cui tornano, di generazione in generazione, gli stessi burattini, l’ambiziosa e gelida prima cittadina è la variabile imprevista, ancora più temibile di una figura pur incontrollabile ma non direttamente minacciosa come Puigdemont. Anche in questo caso il ricatto è insieme perno della trama e metafora del quadro politico.

Cercas ambienta il suo romanzo in Catalogna ma il quadro che delinea si adatta a qualsiasi altro paese occidentale, per esempio a quello italiano. «Non ci sono politici di destra o di sinistra, solo politici» è la formula spogliata di ogni valenza qualunquista e ricondotta a pura mestizia, che uno dei personaggi adopera parlando della sindaca passata dalla militanza di sinistra a posizioni che in Italia definiremmo «leghiste»: il modello ha valenza universale.

Sino a due terzi del romanzo Marin, sebbene protagonista, rimane sullo sfondo, quasi solo una guida necessaria per addentrarsi nella zona grigia della politica e dei rapporti di potere in Catalogna. Al suo posto potrebbe stare qualunque altro poliziotto, i rapporti con il romanzo precedente non vanno oltre la registrazione di un lutto non superato, di uno stallo emotivo dal quale Marin non riesce a uscire.

Cambio di registro
Poi, all’improvviso, nell’ultima parte del romanzo, Cercas cambia registro, mette da parte il pamphlet politico e riporta in primo piano la tragedia privata del poliziotto ex detenuto e bibliofilo. Dalla storia collettiva, il romanzo si sposta alla parabola individuale di un lutto nel quale il peso dell’assenza e quello del senso di colpa si intrecciano e si confondono. «Finché dura il rimorso – si sente ripetere e si ripete Marin per tutto il libro – dura la colpa». E il modello torna a essere il feuilleton con le sue coincidenze improbabili, le tinte forti, la necessità di una ricomposizione finale in grado di ricostituire l’armonia perduta.