Dalla cuccia al Quirinale, dal «codice delle norme a tutela degli animali domestici» all’«elezione diretta del Presidente della Repubblica», passando per il sostegno ai poveri, aiuti massicci alle famiglie, «piano straordinario per l’adeguamento di Roma capitale agli standard delle principali capitali europee», e poi le energie rinnovabili, l’aumento delle pensioni minime, il raddoppio secco di quelle d’invalidità, la riduzione dei parlamentari, l’introduzione del vincolo di mandato.

Più che un programma di governo, i 10 punti stilati dall’ufficio stampa e propaganda della coalizione di centrodestra sono un manifesto studiato perché tutti, proprio tutti, possano trovarci una promessa che li riguarda, una piccola speranza.

E l’abolizione della legge Fornero, argomento di acerrima contesa nei giorni scorsi? C’è anche quella, come da imperativo salviniano, però accompagnata da una formuletta che smorza e depotenzia: «Nuova riforma previdenziale economicamente e socialmente sostenibile».

Come dire che dei conti fatti dalla ministra meno amata della storia repubblica bisognerà continuare a tenere conto.

Anche il rapporto con l’Europa, altro elemento per definizione divisivo, è sufficientemente ambiguo da fare contenti tutti.

Si parla, è vero di «recupero di sovranità», declinato però con formula soft: «Prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario, su modello tedesco».

Silenzio invece sul Jobs Act, anzi sul lavoro in generale. Essendo il problemino secondario, il centrodestra ha scelto di non parlarne proprio.

Un silenzio che rivela profondo imbarazzo, tanto più in un programma dove c’è davvero di tutto e di più.

Il punto dolente è che attaccare le riforme di Matteo Renzi vorrebbe dire sconfessare tutte le politiche dei governi Berlusconi e deludere una parte sostanziosa del blocco sociale che lo stesso Silvio Berlusconi mira a ricostruire. Ma difenderle vorrebbe dire inimicarsi gli elettori: dunque meglio far finta di niente.

In compenso diluviano promesse sul fronte della tasse, che è da sempre il vero cavallo di battaglia della destra berlusconiana.

Anche qui un margine di ambiguità sussiste, perché se è vero che la Flat Tax è al primissimo posto e l’introduzione di una No Tax Area è al secondo, è anche vero che l’aliquota unica non viene quantificata. Dicono che l’ambizione sarebbe portarla al di sotto del 20%, ma è un miraggio e in realtà anche il meno visionario 25% non sarebbe molto più realistico.

Ma il capitolo fisco è davvero corposo ed è tale da parlare davvero alla maggior parte dell’elettorato: «Pace fiscale per tutti i piccoli contribuenti in difficoltà», «Abolizione dell’inversione dell’onere della prova fiscale», «Pagamento immediato di tutti i debiti della Pubblica amministrazione».

Berlusconi, si sa, gioca su due tavoli. Ha un occhio sgranato sulle larghe intese, confortato dall’esempio tedesco, ma non dispera di vincere. A

l netto di questo programma-monstre la carta che intende giocare per provare a vincere ancora una volta è sempre la stessa: la promessa di tagliare le tasse.