In Centrafrica, il regime di Michel Djotodia, presidente “transitorio” andato al potere con un colpo di stato degli ex Seleka nel marzo scorso, sta probabilmente vivendo le sue ultime ore. A N’Djamena, in Ciad, si è aperto ieri un vertice straordinario della Ceeac (Comunità economica degli stati dell’Africa centrale), cioè dei paesi vicini del Centrafrica, per discutere sulla tragica situazione a Bangui, a un mese dall’inizio dell’intervento francese “Sangaris”. A dominare la scena è il presidente del Ciad, Idriss Deby, al potere da 23 anni, diventato il vero padrone della situazione, grazie ai francesi, che chiudono tutti e due gli occhi di fronte a questo despota, ma che ormai non possono più fare a meno dell’ingombrante alleato, che aiuta in Mali l’operazione “Serval” e in Centrafrica l’operazione “Sangaris”. Deby è stato finora il principale sostenitore di Djotodia, ma su pressione di Parigi lo sta abbandonando, di fronte alla totale paralisi in cui è caduto il paese, tra scontri tra la minoranza musulmana (al potere con Djotodia) e la maggioranza cristiana. A N’Djamena è presente anche l’attuale leader dell’opposizione, Joachim Kokaté, rappresentante degli anti-balaka del Movimento di resistenza popolare per la rifondazione del Centrafrica, probabilmente inviato dall’ex presidente François Bozizé, rovesciato a marzo, ma eletto due volte dopo aver preso anch’egli il potere con un colpo di stato nel 2003, che agisce nell’ombra e spera in un ritorno al potere.  Ufficialmente, il vertice in Ciad non è stato convocato per cambiare regime a Bangui. Anche se la preoccupazione cresce: secondo la descrizione di un diplomatico, in Centrafrica, “lo stato si è volatilizzato, i dipendenti pubblici non vanno più a lavorare, non c’è più amministrazione, né giustizia, né polizia, la vita politica è ferma, l’oggetto del vertice è come far ripatire il tutto”.

La Francia cerca una via d’uscita, dopo un mese di intervento, di fronte alle violenze che stanno trasformando il caos in guerra civile e religiosa, in un paese dove lo stato non è mai esistito. Il ministro degli esteri, Laurent Fabius, ha precisato ieri che non ci sono “rinforzi previsti” per i 1600 uomini dell’operazione “Sangaris” che si trovano sul posto, militari costretti a fare soprattutto operazioni di polizia, accusati dalla minoranza musulmana di essere parziali a favore dei cristiani. “Non vogliamo essere presi in un ingranaggio – ha precisato Fabius – ma dobbiamo anche essere appoggiati da altri, prima di tutto gli africani, che sono 6mila, e poi abbiamo chiesto agli europei di aiutarci”. La Francia fa pressione per ottenere una partecipazione europea nel dramma del Centrafrica, anche simbolica: il 20 gennaio c’è a Bruxelles un Consiglio dei ministri degli esteri e Parigi spera di ottenere l’invio di mille soldati europei, in appoggio a “Sangaris”, con un mandato umanitario. La Francia aveva sperato in un intervento breve, al massimo sei mesi, con l’intenzione di lasciare agli africani la gestione della crisi centrafricana. Ma la Misca, la forza interafricana in Centrafrica, che conta oggi circa 4mila uomini ed è dominata dal Ciad, agisce nella confusione ed è accusata di intervenire nella guerra civile (dei soldati del Ciad hanno sparato contro dei cristiani, dopo l’azione violenta degli anti-balaka del 5 dicembre scorso). I paesi africani in questi giorni stanno rimpatriando nella confusione i loro cittadini residenti in Centrafrica, per timore che i massacri continuino. Circa 100mila persone, per paura, si sono rifugiate nelle vicinanze dell’aeroporto di Bangui, controllato dai francesi, sopravvivono in condizioni spaventose e solo da pochi giorni hanno cominciato a ricevere degli aiuti alimentari internazionali. Ma l’Onu, che pure ha dato il via libera all’operazione “Sangaris”, non sembra aver fretta di prendere le cose in mano. Ieri, il Rwanda ha annunciato l’invio di 800 soldati per la Misca. Ma la Francia vorrebbe un intervento di peace keeping delle Nazioni unite, per evitare di impantanarsi, da sola, nell’ennesimo intervento in un’ex colonia africana (il cinquantesimo nel mezzo secolo che ci separa dalle indipendenze africane).