La gioia esplode di mattina. Lievita rapidamente dopo la pubblicazione del tweet di Rete Italiana Pace e Disarmo che per prima dà la notizia, storica: il governo italiano revoca le esportazioni di armi verso Arabia saudita ed Emirati, principali attori e aguzzini della coalizione sunnita che dal marzo 2015 bombarda lo Yemen per farlo tornare il cortile di casa propria. Centomila morti dopo, l’Italia applica la sua stessa legge, la 185 del 1990 che vieta la vendita di armi a paesi coinvolti in conflitti armati e violatori di diritti umani.

NELLO SPECIFICO, a essere definitivamente revocate sono le forniture autorizzate dopo l’inizio del conflitto e ancora non consegnate: oltre 12.700 bombe che non finiranno negli arsenali sauditi ed emiratini, spiegano le organizzazioni che da anni si battono per il rispetto della legge, Amnesty Italia, Comitato Riconversione Rwm, Fondazione Finanza Etica, Medici senza Frontiere, Movimento dei Focolari, Oxfam Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo, Save the Children Italia, European Center for Constitutional and Human Rights e Mwatana for Human Rights.

La decisione – che recepisce la risoluzione a firma Yana Chiara Ehm (M5S) e Lia Quartapelle (Pd) approvata lo scorso dicembre dalla commissione esteri della Camera – riguarda sei autorizzazioni per missili e bombe d’aereo, di cui 20mila ordigni approvati dal governo Renzi per un valore di 411 milioni. Sono le stesse che il governo Conte aveva sospeso nel luglio 2019 e che rappresentano quasi la metà di tutte le autorizzazioni concesse negli ultimi cinque anni. Resta inoltre in piedi la sospensione della concessione di nuove licenze a favore di Abu Dhabi e Riyadh.

«La sospensione era in scadenza in questi giorni – ci spiega Francesco Vignarca, di Rete Italiana Pace e Disarmo – ma da tempo ci eravamo mossi per ottenere un rinnovo. In commissione, però, avevamo tentato una carta più coraggiosa: non solo uno stop temporaneo ma la revoca definitiva. Il governo ha accettato».

«CI SONO TRE COSE da notare dopo questo risultato – aggiunge Vignarca – Primo, visto che ci sono altre armi in giro e altri fornitori, il fatto che l’Italia prenda le distanze da una delle parti in conflitto la rende più credibile nel premere per la pace. Secondo, intendiamo estendere la nostra azione sia in termini di sistemi d’arma che di paesi, perché si rivolga a tutti gli Stati membri della coalizione che bombarda lo Yemen e a chi viola i diritti umani, penso all’Egitto. Terzo, per la prima volta si revocano autorizzazioni già concesse ed è enorme il valore simbolico di questa decisione. Dice una cosa: si può fare. Tante volte ci è stato detto che una volta che l’autorizzazione è stata data non si torna indietro. Non è così: se le condizioni mutano si può revocare. Lo dice la 185».

TRA CHI FESTEGGIA ci sono i pacifisti sardi che da anni si battono per la trasformazione della Rwm di Domusnovas, l’azienda che produce gli ordigni diretti nel Golfo per conto della casa madre tedesca Rheinmetall, in una fabbrica civile che dia lavoro senza compromessi. «Un enorme risultato, avevamo ragione noi – ci dice Angelo Cremone di Sardegna Pulita, anche a nome di DonneAmbienteSardegna e Wilpf Italia – Lo scorso dicembre a Roma sotto la sede del ministero per lo Sviluppo economico avevamo chiesto, in modo folkloristico, l’arresto dei ministri che avevano violato la 185. Stasera (ieri per chi legge) una nostra delegazione vedrà la sottosegretaria Todde: presenteremo la nostra proposta di riconversione della Rwm in un caseificio».

L’azienda, millantando crisi per la sospensione del 2019, ha messo in cassa integrazione decine di operai e non rinnovato i contratti a tempo determinato. Eppure – lo scrivevamo lo scorso 15 novembre – ha in essere commesse milionarie con Qatar e Turchia. Una realtà che non ha fermato ieri la Filctem-Cgil locale che, per bocca del segretario Madeddu (in contrasto con le linee guide della Cgil nazionale che spinge per la riconversione), ha dato voce al timore di un’emorragia di posti di lavoro in una regione, il Sulcis, già disastrata sul piano occupazionale.

La battaglia continua, consapevoli del risultato storico. Che arriva insieme a una buona dose di ironia: giovedì spopolava il video di Matteo Renzi che a Riyadh pronosticava il prossimo «rinascimento» saudita, un one-man-show a favore del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, definito «un grande» (dopotutto riuscì a chiamare al-Sisi un «grande statista»). Dando prova di un incomprensibile senso della democrazia (di cui Conte in Italia, per il senatore di Iv, è un vulnus), Renzi ha cantato dietro lauto compenso le lodi di un paese che più medievale non c’è: attiviste torturate e detenute per aver chiesto di guidare, oppositori in galera, boia sommersi di lavoro, donne cittadine di serie B sottoposte al sistema del guardiano, migranti in condizioni di semi schiavitù (ah, per Renzi è abbassamento del costo del lavoro, parole sue), minoranze religiose sottomesse. E così via.

«Ovviamente è una coincidenza – così ci saluta Vignarca – Il governo non ha revocato l’export perché Renzi è andato a Riyadh: la decisione era stata già presa, c’è stato solo un recepimento formale. Ma va detta una cosa: Matteo Renzi non è solo un ex primo ministro, è un componente della commissione difesa del Senato e fino a pochi mesi fa della commissione esteri. La prima compra e vende armi, la seconda dovrebbe verificare il rispetto della 185. La cosa più grave è questa: Renzi è in carica, rappresenta il popolo italiano in parlamento e fino a poco fa era nella maggioranza di governo».