Con lo sguardo che fruga negli «spazi di complessità»
Cento cene Un incontro all’associazione PhilosofArte di Montegranaro (Fermo) per discutere insieme di controffensive culturali e politiche
Cento cene Un incontro all’associazione PhilosofArte di Montegranaro (Fermo) per discutere insieme di controffensive culturali e politiche
Una cornice insolita per una cena, l’associazione PhilosofArte di Montegranaro (Fermo), tra quadri, citazioni poetiche e filosofiche appese alle pareti, divani e strumenti musicali; Marzio Moriconi al piano e la sua versione jazz dell’Internazionale. Uno spazio piccolo, ma pieno e attento.
Ci sono persone diverse, anime articolate della sinistra, come sempre nelle cene per il nostro giornale; ci sono la precedente e la nuova Segretaria della Fiom di Fermo, c’è Sandro Cipollari, uno storico Segretario della Camera del Lavoro (tra i fermani che Gladio aveva messo nelle sue liste di deportazione, in caso di colpo di Stato). PhilosofArte offre la cena e, dunque, tutto il ricavato va a il manifesto, perché Maria, Umberto e Mirella hanno cucinato per tutti noi; pensando – come Barbara Mancini, anima di questo luogo – a quanto ci manchi, stasera come sempre, Mario Dondero che avrebbe cantato, fotografato e baciato tutti.
A fianco a Mario Di Vito (giovane colonna marchigiana del giornale), Angelo Ferracuti qui è di casa, e dice con poche dense parole la preoccupazione che ciascuno può trovare dentro di sé: la barbarie di suonare quel citofono dovrebbe suscitare un’indignazione ben più larga e profonda, nel Paese. La semplificazione del pensiero e la teatralità dei gesti favoriscono l’odio e lo stigma. Anche per questo il manifesto è un giornale necessario, un antidoto di libertà. «Quando scrivo per questo giornale – confessa – mi sento libero da qualsiasi forma persino di autocensura (cosa che non è sempre possibile in altri contesti); è come (paragone quanto mai calzante) mangiare la sera cogli amici». È Alfonso Gianni a sviluppare il ragionamento centrale: non possiamo nasconderci l’arretramento della sinistra in Italia, la sua difficoltà a pensare e impostare una controffensiva culturale e politica; così come gli scenari autoritari e di guerra, nel contesto mondiale. Ma è proprio da quest’ultimo che ci vengono segnali importanti di pensiero e di spinta, non circoscritti a circuiti ristretti. Non solo la Grecia (dove Syriza, pur avendo perso le elezioni dopo lo strozzamento neoliberista di quel Paese, ha ancora una forza di massa, di oltre il 30%), non solo la Spagna e il Portogallo i cui governi stanno unendo forze storiche e nuove energie della sinistra. Ma anche negli Usa, una nuova generazione di intellettuali rilancia il socialismo come prospettiva di salvezza del pianeta; Bhaskar Sunkara, ad esempio, col suo Manifesto socialista per il XXI secolo (che Laterza ha pubblicato quest’anno); lì, oltre oceano, ricordano Ingrao, Lucio Magri e il suo apologo del sarto di Ulm. Non dobbiamo ignorare questi segnali di speranza e prospettiva; ma saper riconoscere i colori nel grigiore.
Cento anni fa veniva assassinata Rosa Luxemburg, che di fronte a una tragedia storica sapeva vedere il dolore anche negli occhi di un bue, guardare alla bellezza della vita, e avere fiducia nel riscatto degli umani. D’altra parte, aggiunge chi scrive, anche il nostro sguardo sui giovani deve saper cogliere i loro segni di vitalità pure in Italia, e la loro esigenza di parole profonde e gesti coerenti. È Tommaso Di Francesco a concludere: il manifesto è lo spazio della complessità, che va difesa ed estesa, per impedire che il pensiero critico, la lettura della vita e del mondo ripieghino dentro semplificazioni violente e regressive. Non pensiamo, presuntuosamente, di essere i soli a farlo; tanti lavorano nella dimensione politica, sociale e culturale, ma questo giornale è da sempre il luogo dove queste e questi, tante e tanti, hanno casa e voce. Diffondere il manifesto è amplificare e rendere più chiara quella forza e quella voce.
Si discute ancora, tra i tavoli e sul terrazzo; e alla fine c’è ancora tempo per vedere la bella mostra dei quadri di Porzano; con Barbara che ci guida, è soprattutto davanti a un ritratto incompiuto di Kafka, che ci soffermiamo. L’autore non poté finirlo, ma è proprio questo a coglierne l’anima. Mentre salutiamo le compagne e i compagni, non è difficile pensare che, in queste cento cene, il contributo al nostro giornale viene tanto dal cuore quanto dalla testa.
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