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Con lo sguardo che fruga negli «spazi di complessità»

Con lo sguardo che fruga negli «spazi di complessità»Foto Costanza Fraia

Cento cene Un incontro all’associazione PhilosofArte di Montegranaro (Fermo) per discutere insieme di controffensive culturali e politiche

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 26 gennaio 2020

Una cornice insolita per una cena, l’associazione PhilosofArte di Montegranaro (Fermo), tra quadri, citazioni poetiche e filosofiche appese alle pareti, divani e strumenti musicali; Marzio Moriconi al piano e la sua versione jazz dell’Internazionale. Uno spazio piccolo, ma pieno e attento.
Ci sono persone diverse, anime articolate della sinistra, come sempre nelle cene per il nostro giornale; ci sono la precedente e la nuova Segretaria della Fiom di Fermo, c’è Sandro Cipollari, uno storico Segretario della Camera del Lavoro (tra i fermani che Gladio aveva messo nelle sue liste di deportazione, in caso di colpo di Stato). PhilosofArte offre la cena e, dunque, tutto il ricavato va a il manifesto, perché Maria, Umberto e Mirella hanno cucinato per tutti noi; pensando – come Barbara Mancini, anima di questo luogo – a quanto ci manchi, stasera come sempre, Mario Dondero che avrebbe cantato, fotografato e baciato tutti.

A fianco a Mario Di Vito (giovane colonna marchigiana del giornale), Angelo Ferracuti qui è di casa, e dice con poche dense parole la preoccupazione che ciascuno può trovare dentro di sé: la barbarie di suonare quel citofono dovrebbe suscitare un’indignazione ben più larga e profonda, nel Paese. La semplificazione del pensiero e la teatralità dei gesti favoriscono l’odio e lo stigma. Anche per questo il manifesto è un giornale necessario, un antidoto di libertà. «Quando scrivo per questo giornale – confessa – mi sento libero da qualsiasi forma persino di autocensura (cosa che non è sempre possibile in altri contesti); è come (paragone quanto mai calzante) mangiare la sera cogli amici». È Alfonso Gianni a sviluppare il ragionamento centrale: non possiamo nasconderci l’arretramento della sinistra in Italia, la sua difficoltà a pensare e impostare una controffensiva culturale e politica; così come gli scenari autoritari e di guerra, nel contesto mondiale. Ma è proprio da quest’ultimo che ci vengono segnali importanti di pensiero e di spinta, non circoscritti a circuiti ristretti. Non solo la Grecia (dove Syriza, pur avendo perso le elezioni dopo lo strozzamento neoliberista di quel Paese, ha ancora una forza di massa, di oltre il 30%), non solo la Spagna e il Portogallo i cui governi stanno unendo forze storiche e nuove energie della sinistra. Ma anche negli Usa, una nuova generazione di intellettuali rilancia il socialismo come prospettiva di salvezza del pianeta; Bhaskar Sunkara, ad esempio, col suo Manifesto socialista per il XXI secolo (che Laterza ha pubblicato quest’anno); lì, oltre oceano, ricordano Ingrao, Lucio Magri e il suo apologo del sarto di Ulm. Non dobbiamo ignorare questi segnali di speranza e prospettiva; ma saper riconoscere i colori nel grigiore.

Cento anni fa veniva assassinata Rosa Luxemburg, che di fronte a una tragedia storica sapeva vedere il dolore anche negli occhi di un bue, guardare alla bellezza della vita, e avere fiducia nel riscatto degli umani. D’altra parte, aggiunge chi scrive, anche il nostro sguardo sui giovani deve saper cogliere i loro segni di vitalità pure in Italia, e la loro esigenza di parole profonde e gesti coerenti. È Tommaso Di Francesco a concludere: il manifesto è lo spazio della complessità, che va difesa ed estesa, per impedire che il pensiero critico, la lettura della vita e del mondo ripieghino dentro semplificazioni violente e regressive. Non pensiamo, presuntuosamente, di essere i soli a farlo; tanti lavorano nella dimensione politica, sociale e culturale, ma questo giornale è da sempre il luogo dove queste e questi, tante e tanti, hanno casa e voce. Diffondere il manifesto è amplificare e rendere più chiara quella forza e quella voce.

Si discute ancora, tra i tavoli e sul terrazzo; e alla fine c’è ancora tempo per vedere la bella mostra dei quadri di Porzano; con Barbara che ci guida, è soprattutto davanti a un ritratto incompiuto di Kafka, che ci soffermiamo. L’autore non poté finirlo, ma è proprio questo a coglierne l’anima. Mentre salutiamo le compagne e i compagni, non è difficile pensare che, in queste cento cene, il contributo al nostro giornale viene tanto dal cuore quanto dalla testa.

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