«I risultati dell’uscita del film di Scorsese promettono bene per le sale cinematografiche», è il titolo di un articolo sulla sul supplemento finanziario del «New York Times» di ieri. Nonostante sia un film di quasi quattro ore, e nonostante il suo cast – per via della sciopero – non abbia potuto fare promozione del film, The Killers of the Flower Moon ha debuttato con 23 milioni di biglietti venduti, un botteghino che il regista di Mean Streets non vedeva dai 41 milioni di Shutter Island, nel 2010. Prodotto da Apple Studios, ma distribuito in tutto il mondo dalla Paramount, Killers va così ad aggiungersi ai grandi successi di sala che hanno caratterizzato l’estate cinema 2023 – Oppenheimer e Barbie. E se il film di Nolan – un acceso sostenitore dei cinema, che posiziona con regolarità quasi scaramantica le sue uscite a metà luglio – era già sulla carta una garanzia, per la Universal, il destino di Barbie era un’incognita. Dopo tutto, la Warner Bros., che distribuisce il film di Greta Gerwig, era stato il primo studio – durante la pandemia – a coniare l’abbinamento dell’uscita in sala e online, affidando un intero listino alla fortuna dell’allora emergente piattaforma del gruppo, HBO Max.

QUELLA SCELTA del management (definita scellerata da molti autori, pubblicamente – tra cui Nolan e Denis Villeneuve), allora controllato dalla compagnia dei telefoni AT&T, non è stata ripetuta dal nuovo proprietario, subentrato nel 2022 alle redini di Warner Media.
Anzi, il CEO di Warner Bros. Discovery a partire dall’aprile 2022, David Zaslav, ha colto l’occasione del passaggio di consegne per presentarsi al mondo come l’erede naturale della grande tradizione dello studio.ll genere gangster, i musical del New Deal, «Casablanca», la svolta dark
La mossa di PR non sempre ha funzionato benissimo per Zaslav medesimo (grave la debacle quando ha tentato di licenziare il direttore della programmazione della rete TCM); ma ha sicuramente influenzato la strategia con cui la Warner Bros. ha celebrato il centenario della sua fondazione, avvenuta nell’aprile 1923, ad opera dei fratelli di origine ebreo polacca Harry, Albert, Sam e Jack Wonsal (cognome che sarebbe poi stato anglicizzato in Warner). Raccontata in un documentario tv in quattro puntate presentato a Cannes – di taglio purtroppo insopportabilmente corporate, nonostante i materiali ricchissimi- la storia della Warner Bros. è stata meglio celebrata nell’arco dell’anno da una ricca serie di restauri importanti (grossi titoli, come Rio Bravo (supervisionato da Scorsese e Spielberg, The Exorcist, supervisionato da Friedkin ma anche titoli meno prevedibili, come il sublime melodramma di Tay Garnett One Way Passage o l’ultimo film di Bruce Lee, distribuito postumo, Enter the Dragon (I 3 dell’operazione Drago), e l’evergreen con Tom Cruise Risky Business).

ANCOR MEGLIO i veri omaggi retrospettivi – che hanno incluso un grosso allestimento fotografico sulla Croisette e ampie celebrazioni al TCM Film Festival, il festival losangelino sponsorizzato dalla rete Turner Classic Movies – hanno dato l’opportunità di evidenziare la fisionomia e la storia dello studio. In un momento in cui le vecchie Majors – o quello che di loro sopravvive – sono sempre meno identificabili, esteticamente o culturalmente parlando, la parabola della Warner (che si respira tutt’oggi camminando tra i teatri di posa e i bungalow dello studio) rimane sorprendentemente coerente. E allora diviene interessante ricordare gli autori che, come Michael Curtiz, Raoul Walsh, Stanley Kubrick e Clint Eastwood, hanno realizzato la maggior parte dei loro film alla WB; oppure contrapporre star «angolose» come Humphrey Bogart, Edward G. Robinson, James Cagney e Bette Davis (che fece una leggendaria causa allo studio per essere liberata dal contratto) emerse dal back lot di Burbank al glamour patinato delle star Paramount e MGM. O la frenetica sovversività dei Looney Tunes in risposta all’animazione di Walt Disney.

MENTRE all’inizio degli anni Trenta, la Universal cementava il primato della sua produzione horror, in quella decade e quella successiva, la WB diventò – come scriveva lo storico Richard Schickel in un libro sulla WB del 2008 – «lo studio della classe lavoratrice», trovando nella Grande Depressione (specialmente prima dell’istituzione del codice Hays), il carburante ideale per il genere gangster, i musical del New Deal di Busby Berkeley e film di provocante, pessimista realismo sociale come Baby Face, I Am a Fugitive from a Chain Gang, Wild Boys on the Road e Heroes for Sale. Dalla Seconda guerra mondiale, la Warner Bros. trasse Casablanca.
La fine dell’epoca classica degli studios vede alla Warner alcuni dei film di svolta più dark, come The Wild Bunch (Il mucchio selvaggio), McCabe and Mrs. Miller (I compari) e Bonnie and Clyde. E, nell’era dei franchise (anche se magari non proprio per scelta…), la WB sembra aver resistito alla tentazione di raggruppare/ridurre l’intera produzione in una serie di marchi, come per esempio ha fatto la Disney – limitando il suo output puramente seriale agli Harry Potter e ai DC Comics. Il successo di Barbie (da cui, ironicamente, nascerà un franchise) è in un certo senso un tributo all’originalità dello studio.