Le scosse continuano mentre si scava e si scava ancora alla ricerca degli ultimi superstiti. A Durazzo sono una trentina le persone estratte vive dalle macerie causate dalla serie di terremoti cominciata nella notte tra lunedì e martedì. Il conto dei morti è salito a quota trentuno, mentre i feriti sono oltre seicentocinquanta. Nello stadio della città è stata allestita una tendopoli per ospitare centinaia di sfollati: regna la confusione nei giorni più difficili della storia recente dell’Albania, il premier Edi Rama e il presidente della Repubblica Ilir Meta si aggirano per cercare di dare conforto alla popolazione, mentre da mezzo mondo continuano ad arrivare uomini, mezzi e attestati di solidarietà. Al momento, comunque, oltre al lavoro dei vigili del fuoco (anche italiani) e della protezione civile internazionale, è soprattutto l’esercito a mantenere il controllo del territorio e a cercare di mettere ordine nel caos.

NELLA GIORNATA DI IERI il governo albanese ha delimitato un perimetro d’emergenza che si estende da Durazzo fino a Tirana e Rama, attraverso un messaggio su Facebook, ha assicurato che «entro il 2020 chi ha perso la casa ne avrà un’altra».

Il premier ha poi annunciato la sua intenzione di chiedere all’Ue di «poter attivare il meccanismo di solidarietà. Abbiamo già il sostegno di molti paesi». L’occasione per discuterne sarà il meeting della Nato a cui parteciperanno i leader dei paesi membri, in programma a Londra il 3 e il 4 dicembre.

Nel pomeriggio di ieri, intanto, una nuova forte scossa (5.2 gradi sulla scala Richter) ha gettato nel panico la popolazione e ha fatto interrompere i lavori di ricerca dei superstiti. Gente in strada anche a Tirana e a Valona, dove comunque non si registrano danni gravi.

IL CALCESTRUZZO DEI PALAZZI costruiti durante l’era di Enver Hoxha mostra ora i suoi pesanti limiti e la situazione è aggravata dalla speculazione edilizia montata dalla metà degli anni ’80 in poi, quando le coste albanesi hanno cominciato a diventare mete turistiche e c’era bisogno di strutture: alberghi, soprattutto, costruiti ovunque a ridosso delle spiagge andando oltre i limiti della legge e del buonsenso. A Durazzo di alberghi ne sono venuti giù tre, oltre a un grattacielo di diciotto piani, ma le case toccate in maniera più o meno pesante da questa onda sismica non si contano nemmeno. Verrà il tempo dei bilanci, per ora prevale il sentimento di solidarietà nazionale (e internazionale) per la tragedia in atto.

Il socialista Rama, eletto nel 2013, spesso e volentieri ha speso parole contro l’overdose di cemento che infesta il suo paese. Non solo parole: nell’anno della sua ascesa al potere, il premier fece demolire un edificio-ecomostro che campeggiava sulla spiaggia vicino a Valona. La proprietà era del suocero di Lulzim Basha, capo dell’opposizione di centrodestra, sconfitto da Rama alle elezioni del 2017 ed ex ministro degli Interni ai tempi di Berisha. Lui parlò di «attacco politico personale», ma ora, con il sisma e la distruzione, si capisce che quello del mattone è davvero un problema mortale per l’Albania.

DA QUANDO È ARRIVATA la democrazia, la classe politica sorta sulle macerie del comunismo si è trovata spesso invischiata nelle paludi del malaffare: qui la percezione della corruzione ha l’indice più alto di tutta la penisola balcanica, come certificano i rapporti di Transparency International. E così, mentre un governo sì e l’altro pure dichiaravano guerra alla droga (senza peraltro conseguire risultati apprezzabili), la speculazione edilizia dilagava. Palazzi che dovevano essere a tre piani che finiscono per essere alti il doppio, alberghi innalzati in riva al mare, aree verdi invase da edifici di vario genere. Sullo sfondo, le periferie buie e i casermoni del regime, a testimoniare un doppio binario da cui l’Albania fatica ancora a uscire: da una parte le luci e la movida della costa, la crescita economica (oltre il 4% nel 2018) e la lotta alla disoccupazione (al 14.7%, quarto tasso più basso dei Balcani), dall’altra i quartieri popolari, dove non basta avere un lavoro per non essere più poveri.

La futura ricostruzione di queste zone dovrà attraversare, oltre a tutte le insidie del caso, anche le più che prevedibili infiltrazioni della criminalità. Come in qualsiasi angolo della Terra, il terremoto può essere un grande affare.