Censurata, arrestata, torturata e costretta all’esilio: è la storia di una giornalista saudita, Reem Sulaiman, finita nel radar del braccio destro del delfino Mohammed bin Salman.

Quel Saud al-Qahtani considerato uno degli autori dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato dei Saud a Istanbul e licenziato una ventina di giorni dopo (ma, scrive il Washington Post, ancora consigliere dietro le quinte del principe). Un capro espiatorio da dare impasto al mondo inorridito che però non inganna chi vive nel regno: è risaputo che al-Qahtani non muove foglia senza l’ordine del futuro re.

Indicativo il caso di Reem Sulaiman, che racconta lei stessa a Middle East Eye dall’Olanda dove ha chiesto asilo politico. «Saud al-Qahtani – dice – è l’uomo responsabile delle direttive a tutti i media del paese». E l’uomo che ha deciso di censurarla.

Giornalista per diversi quotidiani di proprietà del governo, Mecca, al-Wiam e Anha, è stata avvicinata la scorsa estate da un assistente di al-Qahtani che le ha dato ordine di non scrivere più. Troppo indipendente, sarebbe stato il giudizio.

Spaventata, Sulaimani ha smesso di scrivere, ma poco dopo uomini armati hanno fatto irruzione a casa sua e l’hanno portata via. Per due giorni è stata interrogata sui suoi articoli e tweet e ha subito torture psicologiche. Una volta fuori, è fuggita in Olanda dove ha denunciato l’accaduto. Immediate le conseguenze: un’ondata di insulti online (classica strategia di discredito della monarchia) e fantomatiche accuse di essere una spia del nemico Qatar.