Cenerentola e l’eredità rossiniana dell’opera buffa
Musica A chiusura del centocinquantenario dalla morte del grande compositore, va in scena uno dei suoi titoli più noti
Musica A chiusura del centocinquantenario dalla morte del grande compositore, va in scena uno dei suoi titoli più noti
A sigillare la definitiva chiusura del centocinquantenario dalla morte di Gioacchino Rossini, dopo avergli tributato una mostra a cura di Pier Luigi Pizzi, il Teatro alla Scala ha in cartellone fino al 5 aprile La Cenerentola ossia La bontà in trionfo, nell’allestimento storico ideato da Jean-Pierre Ponnelle nel 1971 per il Maggio Musicale Fiorentino, andato in scena per la prima volta a Milano due anni dopo con la direzione di Claudio Abbado (cui è dedicata la prima dell’opera, a cinque anni dalla sua scomparsa) e replicato per l’ultima volta nel 2005, sempre nell’edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro curata da Alberto Zedda, qui ripreso da Grischa Asagaroff, già collaboratore di Ponnelle.
SI TRATTA di un punto fermo della Rossini Renaissance, che ha contribuito a liquidare definitivamente una tradizione interpretativa rea di sottoporre le opere rossiniane di mezzo carattere (drammi buffi, opere semiserie o, come Cenerentola, melodrammi giocosi) a un avvilente appiattimento sugli stereotipi farseschi, ponendo una nuova attenzione alla complessità psicologica e sociologica dei caratteri rappresentati, senza mai rinunciare alla proverbiale leggerezza del pesarese. In Cenerentola, capolavoro romano del 1817, mentre a Don Magnifico, Clorinda e Tisbe è affidata l’eredità dell’opera buffa settecentesca, con tutto l’armamentario di sillabati ed effetti onomatopeici che ne consegue, la protagonista viene tratteggiata come una figura pateticamente sospesa fra sogno e realtà, più vicina ai languori di Elena della serissima Donna del lago che non alle funamboliche esplosioni di vitalità di Rosina del goliardico Barbiere di Siviglia. La direzione è affidata a Ottavio Dantone, già collaboratore di Abbado, che alla Scala, tra le altre cose, h diretto Così fan tutte di Mozart (2007) e il rossiniano Viaggio a Reims (2009). Per Cenerentola ha saputo trovare sonorità soffuse nei momenti più elegiaci come «Una volta c’era un re», o estatici quali «Un soave non so che», e al contempo ha saputo dare all’orchestra il giusto dinamismo e un’adeguata estroversione timbrica nei grandi concertati (il sestetto «questo è un nodo avviluppato» o l’allegro vivace «Noi voleremo, domanderemo»).
NEL RUOLO del titolo c’è Marianne Crebassa, che torna a vestire i panni di Cenerentola dopo il debutto nel ruolo all’Opéra di Parigi, risolvendone le difficoltà grazie a una voce timbrata e umbratile, che le permette di sottolineare, in linea con la direzione, gli aspetti più intimi e dolenti. Accanto a lei, Maxim Mironov dà corpo a un Don Ramiro lucente, grazie a un’estensione vocale che riesce a scalare con agio le vette impervie dell’aria «Sì, ritrovarla io giuro» e nonostante un volume non grandissimo. Nicola Alaimo regala un Dandini divertente e dal fraseggio sfumato, redimendosi dalla delusione del recente Pirata. Carlos Chausson scolpisce un Don Magnifico sgradevole nella sua cattiveria, Erwin Schrott un Alidoro compassato.
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