È presto per dire se dall’Assemblea generale dei vescovi italiani che ha preso il via ieri in Vaticano nascerà la nuova Cei. Certo è che Papa Francesco, che ha aperto i lavori con un lungo discorso, qualche linea l’ha tracciata. Sia con quello che ha detto ed auspicato: dimagrimento delle strutture, fine del correntismo, collegialità. Sia con quello che non ha pronunciato, ovvero la litania dei «principi non negoziabili» che spesso erano invece il cuore delle prolusioni del card. Bagnasco e degli interventi di papa Ratzinger.

Del resto, che Bergoglio intendesse tenere una sorta di discorso programmatico era evidente dalla decisione di aprire egli stesso l’assemblea. Una novità assoluta questa. Nel passato, quando i papi avevano partecipato alle riunioni della Cei, erano intervenuti sempre verso la fine dei lavori, lasciando al presidente dei vescovi la prolusione iniziale. Stavolta invece Bergoglio ha voluto parlare subito, quasi a dettare la linea. Bagnasco interverrà oggi e non potrà che mettersi sulla scia di Francesco, quantomeno per ragioni di opportunità. I lavori poi proseguiranno fino a giovedì, e siccome all’ordine del giorno c’è anche l’aggiornamento dello Statuto, solo alla fine si capirà in quale direzione si muoverà la Cei.

Il discorso di papa Francesco ha ruotato su tre punti: il ruolo dei vescovi, l’organizzazione della Cei e gli impegni principali per l’immediato futuro. L’identikit tracciato da Bergoglio è quello di vescovi impegnati più nella pastorale che nell’organizzazione: «Semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi» per «poter essere vicini alla gente», evitando gli «interessi mondani» e, in chiave tutta intraecclesiale, «il rodersi della gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione che genera correnti, consorterie e settarismi».

Il punto più delicato, proprio perché oggetto dei lavori dell’assemblea, ha riguardato la riorganizzazione della Cei. Nei mesi scorsi Bergoglio aveva indicato alcune riforme da fare: nuove modalità per la scelta del presidente – l’unico al mondo ad essere nominato dal Papa e non eletto democraticamente dai vescovi –, riduzione del numero delle diocesi (226, mentre in Francia sono 100 e in Spagna 70) e maggior peso alle conferenze episcopali regionali. Tutte rimaste senza risposta fino ad ora, tranne la consultazione delle regioni. Ed infatti il Papa sembra insistere: va abbandonata la «presunzione» di contare solo «sull’abbondanza di risorse e di strutture» e «sulle strategie organizzative», sono invece necessarie maggiore «partecipazione e collegialità». Si vedrà cosa decideranno i vescovi nei prossimi giorni quando discuteranno lo Statuto della Cei – ed «eventualmente» lo modificheranno, ha messo le mani avanti Bagnasco nel suo breve saluto al Papa – e stabiliranno la ripartizione del miliardo di euro incassato con l’8 per mille. Quindi organizzazione e risorse.

Infine tre impegni per il futuro: famiglia – l’unico «principio non negoziabile» ribadito con forza dal Papa –, «fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio». Ma anche i migranti che «fuggono dall’intolleranza, dalla persecuzione, dalla mancanza di futuro». E il mondo del lavoro: non è possibile, dice Bergoglio, «disertare la sala d’attesa affollata di disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti l’azienda. È un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti».