Un aspetto sorprendente della retrospettiva dedicata alla fotografa e documentarista Cecilia Mangini (nel Cineporto di Lecce – Manifatture Knos) è la carrellata di personaggi della cultura e del cinema ritratti fra il 1956 e il 1959. Passano davanti all’obiettivo di questa pioniera della fotografia – ambito di lavoro qui in Italia, in quegli anni, riservato esclusivamente al genere maschile – Moravia e Pasolini, Soldati e Carlo Levi, Pratolini e Malaparte, Zavattini, Fellini, Flaiano, Montanelli, e ancora John Steinbeck, Charles Chaplin, John Huston… E va bene che quella era stata una stagione irripetibile per la concomitante presenza di così tanti nomi di uomini di pensiero; ma si può immaginare nel tempo attuale una galleria di soggetti altrettanto altisonanti che vengano ripresi da una trentenne, l’età della Mangini di allora? E si badi che quei ritratti non sono il risultato di scatti rubati, come avveniva per i fotografi di strada a caccia del personaggio, ma di pose alle quali ci si prestava con umiltà anche se si era «qualcuno».
«Cecilia Mangini, visioni e passioni – fotografie 1952-1965» è il titolo della retrospettiva che racchiude il percorso di una fotografa e autrice del cinema documentario italiano, antesignana delle donne registe che verranno. Il primo reportage lo realizza a Lipari nel 1952, presso le cave di pietra pomice presenti nell’isola; prosegue con i sopralluoghi fotografici per i documentari girati nel sud Italia e a Firenze; quindi i lavori per la rivista Rotosei a Milano e i ritratti agli intellettuali di cui si è già detto; inoltre il backstage del film La legge del regista Jules Dassin nel 1958 e il reportage sulla guerra in Vietnam nel 1965.
Cecilia Mangini la incontriamo nella sala-corridoio del Cineporto di Lecce (che ospita le produzioni cinematografiche realizzate nel Salento), all’inaugurazione della rassegna, muoversi con il corpo agile a 89 anni di età, fra le stampe delle sue foto pendenti dal soffitto.
Signora Mangini, scatta ancora fotografie?
La mia attività nella fotografia è diventata passiva. Intervengo alle manifestazioni che organizzano per me: ho piacere a mantenere inalterato il contatto con la gente. Di carattere aperto, conservo quella curiosità per l’altro che mi ha accompagnata da sempre. Questa terra, la Puglia, che è terra di attraversamento e di accoglienza, oltre a darmi i natali (è nata a Mola di Bari, ndr), mi ha trasmesso la vocazione per il sociale. Qui in Salento oltretutto sono cittadina onoraria del piccolo comune di Specchia e di ciò ne vado fiera.
Restiamo nell’ambito della fotografia: ha influito direttamente nella selezione delle foto esposte?
Proprio no, eccetto che per tre foto. Una è quella che costituisce la copertina del catalogo, scattata a Rutigliano in provincia di Bari nel 1956. È solo una panoramica di ritratti di persone anonime, ma rappresentativa della socialità in senso lato, dello stare tra e con la gente.
La seconda foto, in realtà sono due scatti diversi, è quella che ritrae Maria Di Capriati nel 1958. Chi era Maria Di Capriati? La mia mamma, da persona molto religiosa, quando nacqui pretese che venissi subito battezzata: aveva paura che morissi e in tal caso, senza il sacramento del battesimo, sarei finita in quello stato d’indeterminatezza che chiamiamo limbo. L’idea la tormentava e allora la signora Di Capriati si assunse l’incarico di battezzarmi, liberando mia madre da quella preoccupazione.
Per la terza foto ho voluto il ritratto che feci a Vasco Pratolini durante il reportage realizzato a Firenze, peraltro mia città d’adozione, nel 1959; aggirandomi fra i quartieri popolari che fungevano da ambientazione dei romanzi dello scrittore. Pratolini era un uomo schivo, che s’irrigidiva immediatamente al cospetto dell’obiettivo di una fotocamera. Proprio per questo m’interessava la sua espressione e nonostante la connaturata riluttanza riuscii a riprenderlo, cogliendone tutto l’imbarazzo.
Qual è stato il suo apparecchio fotografico da lavoro?
Mi sento ancora legata alla macchina, con pellicola ovviamente, Zeiss Super Ikonta, una medio formato 6 x 6 che non era neanche professionale. Mi ha accompagnata per l’intera attività fotografica, eccetto qualche volta in cui ho utilizzato la 35millimetri della Leica.
C’è sempre un progetto per un’operatrice delle arti visive, qual è lei signora Mangini?
Partecipo, questo è tutto e questo mi basta. Il mio progetto è partecipare alle cose che si realizzano e poi condividerle con gli altri.