Un nuova scadenza elettorale preoccupa l’Europa dopo il voto in Germania e in Austria. Oggi e domani i cittadini della Repubblica Ceca sono chiamati a rinnovare la Camera dei Deputati. I cechi ritornano alle urne dopo quattro anni di relativa stabilità politica garantita dalla strana coalizione tra i socialdemocratici, i popolari e il movimento del miliardario Andrej Babis, e in un contesto di forte crescita economica e di grande instabilità internazionale. Da mesi i sondaggi danno per favorito il Movimento dei Cittadini Insoddisfatti (Ano 2011) dell’ex numero due dell’attuale governo, Andrej Babiš. Il suo movimento deve tuttavia far fronte a una progressiva erosione dei consensi. Mentre in estate veniva accreditato oltre il 30 per cento, alla fine dovrà probabilmente accontentarsi di circa il 25-26 per cento dei voti.

I principali sfidanti di Babiš, ossia i socialdemocratici e i partiti del centrodestra, non hanno saputo avvantaggiarsi del calo e rimangono sotto il 15 per cento. Complessivamente dovrebbero entrare alla Camera otto partiti, compreso il Partito Comunista della Boemia e della Moravia. Quest’ultimo è dato terzo e nella campagna elettorale ha puntato sulla sicurezza sociale e sulla proposta di indire un referendum sulla permanenza del Paese nella Nato.

Nella nuova Camera dovrebbe sedere anche i rappresentanti del Partito Pirata, che ha cercato di diluire il suo programma, piuttosto di sinistra, puntando il dito contro la corruzione politica per sottrarre una parte di elettori a Babiš.

A differenza di quanto accaduto in Austria, nella campagna elettorale della repubblica Ceca quello dei migranti è stato un tema piuttosto marginale. Più presente, invece, la questione dell’Europa e la possibile adesione all’eurozona.

I partiti filoeuropei, ossia i socialdemocratici, i popolari e i liberalconservatori della formazione Top 09, sono in forte minoranza rispetto al blocco antieuro a cui si è aggiunto, di recente, anche i movimento Ano, che ha cercato di intercettare lo scetticismo dei cechi nei confronti dell’integrazione europea.

Un altro tema molto forte è quello dei salari. Negli ultimi due anni gli stipendi sono aumentati più del 10 per cento grazie alla crescita economica record e una disoccupazione ferma tra il tre o il quattro per cento. «La produttività dell’economia ceca rappresenta circa il 70 per cento di quello tedesca, ma i salari cechi sono un terzo di quelli tedeschi» continua a ripetere il leader dei socialdemocratici Lubomír Zaorálek, il cui partito promette di aumentare lo stipendio media di circa un terzo, fino a 1600 euro al mese. Nella stessa ottica i socialdemocratici si oppongono all’arrivo di circa duecentomila lavoratori dall’Ucraina, accusati di vero e proprio dumping salariale. L’aumento dei salari è diventato un tormentone ripreso anche dalla destra, che tuttavia promette di abbassare la tassazione del lavoro.

Infine il vero tema della campagna è stato Andrej Babiš. Il secondo uomo più ricco del Paese controlla tramite un trust fund alcuni dei più importanti media nel Paese e vuole dirigere lo stato come un’azienda. Babiš è accusato di aver orchestrata una truffa ai danni dell’Unione europea facendosi pagare una sovvenzione di quasi due milioni di euro, a cui non aveva diritto. Per una parte del Paese il capo del movimento Ano e il presidente della Repubblica Miloš Zeman rappresentano un pericolo per la democrazia e per l’orientamento filo occidentale del Paese.

In realtà i due sono solidamente atlantisti, sebbene Zeman pratichi una politica di apertura anche alla Russia e alla Cina. Anche gli ex alleati di Babiš, sostengono di non volere un premier indagato dalla polizia ma non escludono a priori un accordo con il movimento del miliardario. Nella partita post elettorale avrà un peso determinante il presidente della Repubblica Zeman, che può decidere in piena autonomia a chi affidare la formazione del nuovo governo. Zeman potrebbe nominare Babiš anche contro il volere dichiarato di quest’ultimo. Il governo diretto dall’oligarca difficilmente otterrebbe la fiducia alla Camera, ma potrebbe continuare a governare. In Repubblica Ceca sono ripetuti i casi, in cui un governo sfiduciato rimane in carica con pieni poteri per mesi. Il governo provvisorio potrebbe durare fino a marzo, quando scade il mandato dell’attuale presidente. Quest’ultimo cercherà di farsi rieleggere in gennaio puntando sull’appoggio del vincitore, probabile, delle elezioni.