Girare nelle librerie apparecchiate per il Natale è una delle esperienze più sconfortanti della mia vita. Il normale divario di spazio disponibile tra i libri belli e le porcherie cresce a dismisura. Uno strano modo di onorare il messaggio evangelico: Natale in libreria è la festa dell’ingiustizia. C’è solo da sperare che per i libri si avveri l’idea che gli ultimi saranno i primi. Non è il caso di discutere tutti i meccanismi che ci hanno portato a questa situazione. Voglio lamentarmi di una cosa precisa. Voglio lamentarmi di una storia che mi vede coinvolto direttamente. Io sono uno scrittore che vive a Sud e scrive di Sud. Ho cominciato a farlo quando mi sono accorto che le pagine scritte da scrittori e giornalisti che avevo accompagnato in giro per le mie zone erano quasi sempre sfocate e superficiali.
Quando ho visto e sfogliato il libro di Rizzo e Stella ho pensato a tanti libri scritti in questi anni da non meridionali. Di ben fatti ce ne sono stati davvero pochi. Ecco: mi piacerebbe che il Sud fosse raccontato innanzitutto da chi lo frequenta assiduamente. Mi piacerebbe che qualcuno lo percorresse lungamente, magari per anni, prima di scrivere un libro su un luogo così complesso e pieno di storia. Per troppo tempo i meridionali hanno vissuto immaginando di essere quello che pensano di loro persone che vivono altrove e che magari guardano al Sud come un buon argomento per vendere. Insomma c’è una questione meridionale anche in libreria: il Sud che vende è sempre quello dei luoghi comuni. Se ti azzardi a raccontare quello che c’è veramente, quello che veramente siamo, ecco che il tuo libro si scava subito un destino di nicchia. E la colpa è dei lettori meridionali, in primo luogo. Decretano il successo di chi li scredita pur di perseguire nel loro vittimismo viscerale. Lo scandalo dei paesi pieni di porte chiuse sembra interessare a pochissime persone. Si preferisce raccontare la mafia o gli sprechi, facendo credere che al Sud ci sia solo questo.
Io mi lamento e non ho paura di farlo, non ho paura di essere parte in causa, non ho paura di dire che i miei libri hanno quanto meno il merito di essere scritti da dentro il Sud, dall’infiammazione della residenza. Mi lamento con gli amici che dicono di credere al tuo lavoro, ma lo dicono solo a te, non ci pensano minimamente che sia il caso di dirlo ad altri.Mi lamento con i dirigenti di sinistra che non leggono i libri sui territori che pensano di governare. Mi lamento con le scuole che invitano solo gli scrittori famosi e con i programmi televisivi che fanno raccontare il mondo a tutti, tranne che agli scrittori. Mai come adesso direi che lamentarsi è giusto. E non mi faccio bloccare dalla logica che se ti lamenti sei considerato egocentrico e narciso.
Il Sud raccontato male alla fine è facile che sia governato male. Non è una questione di poco conto riflettere sulle parole che definiscono i luoghi. In questi giorni sto rileggendo Rocco Scotellaro e quello che è stato scritto su di lui. È sconcertante vedere come è stata accolta la sua opera da certi critici marxisti. E forse se il Sud ha preso la piega della modernizzazione incivile a partire dagli anni ’60 lo si deve anche a un’impressionante rimozione delle sue voci interne, per far posto alle chiacchiere dei mestieranti della modernizzazione. Oggi ci sono al Sud grandi energie intellettuali. Alcune trovano sbocchi e altre no. È una questione tutta politica su cui vorrei si interrogassero altre persone. Della mia vanità me ne occupo io. È il caso di occuparsi seriamente di un pezzo dell’Italia, enorme nel male e nel bene.