Annunciata sabato, la «vigilanza» del presidente della Repubblica sulle forze politiche perché sulle riforme costituzionali non «scivolino verso l’inconcludenza», prende forma in 48 ore: Napolitano ieri mattina ha ricevuto Letta e i due ministri che seguono il dossier riforme, Quagliariello e Franceschini. Vertice di governo, ma al Quirinale, che ha prodotto subito l’effetto di un’accelerazione nel percorso. L’esecutivo delle larghe intese ha in tasca la delega del parlamento per un disegno di legge costituzionale che innovi la procedura per la revisione della Carta. L’intenzione del governo è di discutere, se non ancora licenziare, il disegno di legge nel prossimo Consiglio dei ministri, venerdì.
Siamo ancora alla fase delle procedure, ma la delega che camera e senato hanno concesso – nella forma anomala della mozione – è molto ampia soprattutto nel merito delle riforme ritenute indispensabili. Praticamente si annuncia la revisione di tutta la seconda parte della Costituzione, con l’eccezione dei titoli che riguardano la magistratura e la Corte costituzionale. Ma anche quelli andrebbero per forza di cose toccati se si dovesse confermare l’orientamento presidenzialista per quanto riguarda la forma di governo. Il capo dello stato, infatti, oggi è una figura di garanzia e in quanto tale presiede il Csm e nomina una parte dei giudici costituzionali, prerogative che non potrebbero restare in capo a un presidente espressione di una parte politica.

D’altra parte che l’opzione prevalente sia quella presidenziale, o semi presidenziale sul modello francese dove il presidente del Consiglio ha la fiducia anche del parlamento, è ormai una certezza. Nel Pd resiste un’ala prudente – del resto solo l’anno scorso i democratici avevano praticato l’Aventino contro il semipresidenzialismo imposto al senato da Pdl e Lega – ma è ridotta a chiedere «garanzie» e «contrappesi» come la legge sul conflitto di interessi. Lo stesso Letta, è noto, si è lasciato andare all’auspicio che l’attuale sia l’ultimo capo dello stato eletto dal parlamento (e non direttamente dai cittadini). Quagliariello e Franceschini sono ugualmente due sostenitori del presidenzialismo, più prudente è proprio Giorgio Napolitano, che evita di prendere posizione ma in passato ha rimarcato il valore di una figura di garanzia. Non deve aver cambiato opinione, se ieri durante la presentazione del nuovo libro di Veltroni, Eugenio Scalfari, amico e confidente di Napolitano, ha annunciato una sua imminente videointervista al presidente diffondendosi sui rischi del presidenzialismo.

Il disegno di legge messo a punto dal ministro Quagliariello conterrà sostanziali novità rispetto alla procedura dettata dall’articolo 138: il profilo della «commissione dei 40», 20 deputati e 20 senatori scelti tra i componenti delle commissioni affari costituzionali, cui sarà affidato il lavoro referente sui testi, la riduzione dell’intervallo di riflessione tra le prime e le seconde due letture conformi del parlamento (oggi sono previsti tre mesi di stop, anche se nulla impedisce che le camere lavorino in parallelo ottenendo lo stesso risultato), la previsione che il referendum confermativo potrà essere chiesto (da 500mila elettori, ma bastano anche 70 senatori) in ogni caso, a prescindere dalla maggioranza che approvi la riforma costituzionale, la possibilità di più referendum divisi per materie omogenee. Questo disegno di legge costituzionale governativo andrà però approvato con le regole dell’articolo 138, dunque se il governo riuscirà a incardinarlo entro fine giugno potrebbe vedere la luce non prima di ottobre-novembre. È da allora che, nell’interpretazione autentica dei ministri, dovranno cominciare a contarsi i 18 mesi che il governo si è dato per concludere il processo riformatore. Il cui non secondario obiettivo è dilatare le ragioni di vita dell’esecutivo.

Molto prima di venerdì, invece, Letta nominerà la sua commissione di saggi modellata sull’esempio della commissione Balladur che in Francia suggerì al presidente Sarkozy come riequilibrare il semi presidenzialismo in favore del parlamento. I saggi italiani, in numero doppio rispetto ai 13 francesi, sembrano destinati a imboccare il cammino opposto. Spiazzando le camere. Perché, a meno che non restino fermi per quattro mesi, si troveranno a discutere del merito delle riforme, mentre camera e senato faticheranno su questioni di metodo. Altro che «centralità del parlamento».