Case rifugio con indirizzo segreto, centri d’emergenza di primo livello, case residenziali di terzo livello, task force rosa, la Toscana sembra all’avanguardia nella strategia di contrasto della violenza di genere, eppure Carla Pochini, presidente della Casa della Donna di Pisa – una delle esperienze pilota, socia fondatrice del coordinamento regionale Tosca sia del circuito nazionale Dire -, non è così certa che rete regga alla riforma sanitaria della Regione e ai tagli imposti dal governo.

Femminicidio e maltrattamenti però sono due fenomeni diversi, con dinamiche diverse?

Sì, lo sono. Il maltrattamento è soprattutto familiare, si svolge dentro le mura domestiche. Il femminicidio interviene quando una donna vuole riscattarsi e l’uomo, che la considera sua proprietà, non lo accetta, non accetta di essere messo in discussione. La dinamica è più simile a quella del maltrattamento psicologico, il più difficile da portare in tribunale e il più ammantato di auto colpevolizzazione da parte della donna. Nel 90% dei casi la violenza scatta da uomini insospettabili. È trasversale ai ceti e alle professioni, coinvolge anche tanti laureati, medici, insegnanti. Per le donne la fascia d’età più a rischio di violenze è quella tra i 30 e i 50 anni, quando spesso si ha una relazione stabile, dei figli, ma un fenomeno che sta prendendo piede è quello delle donne più anziane che ci chiedono aiuto, anche settantenni. E mi chiedo: quante di queste muoiono senza che si sappia il vero motivo, quanto c’è di sommerso oltre il dato dei 150 femminicidi all’anno. Di questi già una ventina sono di oltre 65enni.

Si rivolgono di più a voi le italiane o le straniere?

All’80 per cento le donne che ci chiedono aiuto sono italiane ma per noi la provenienza geografica non significa niente.

E quante alla fine tornano a casa dall’uomo che le maltratta?

Esiste una percentuale considerevole di donne che interrompe il percorso di cambiamento per tornare a casa dall’uomo che le picchia e le umilia ma spesso, magari dopo anni, richiamano. Infatti scriviamo sul fascicolo “percorso interrotto” non lo archiviamo. Il colloquio telefonico iniziale, magari solo per informazioni, resta il più importante, è quello in cui la donna prende coscienza della necessità di un cambiamento e si stabilisce un contatto.

Invece vi hanno chiesto di ridurre i servizi di ascolto?

Non ce l’hanno chiesto, ci hanno costrette a ridurlo. Ogni anno si riducono i fondi, ma a marzo, quando è scaduto il bando poi prorogato fino a maggio, la Società della Salute ci ha tagliato il budget addirittura del 30%. Si sta parlando di un bando da 70 mila euro annui per casa rifugio e telefono Donna, per cui già l’associazione doveva integrare con propri fondi per le donne senza alcun sussidio. E invece servirebbero più fondi per la prevenzione, per la formazione nelle scuole, senza doversi indebitare con le banche. Lavorare sulla violenza di genere non è uno scherzo, serve una programmazione e finanziamenti certi. Invece la Regione fa scaricabarile con la Società della Salute e questa con il governo.