Ieri il gup del tribunale di Bologna Alberto Ziroldi ha rinviato a giudizio l’ex Nar Gilberto Cavallini accusato di concorso nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 dove una bomba di più di venti chili di esplosivo, collocata nella sala d’aspetto di seconda classe causò 85 morti e 200 feriti. Il nuovo processo inizierà il primo giorno di primavera del 2018.

A marzo si erano chiuse le indagini del pool guidato dal Procuratore capo Giuseppe Amato sulla strage più sanguinosa della storia repubblicana. Da qui la richiesta, a 37 anni di distanza, di rinvio a giudizio per Cavallini con l’accusa di aver partecipato alla preparazione dell’eccidio, oltre che fornito supporti e nascondigli per la latitanza in Veneto di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva, i primi due all’ergastolo, il terzo, minorenne all’epoca, a 30 anni.

Cavallini, 65 anni, attualmente detenuto nel carcere di Terni, già condannato per banda armata (nello stesso processo in cui vennero condannati Mambro e Fioravanti), ma soprattutto a otto ergastoli per altrettanti omicidi, tra cui quello del giudice Mario Amato (23 giugno 1980), fu l’ultimo di questa banda di terroristi a essere catturato, a Milano nel settembre 1983. Secondo l’accusa, sarebbe stato lui a Villorba di Treviso, alla vigilia dell’attentato, a fornire il covo dove si sarebbe riunito il nucleo operativo dei Nar.

Dopo una prima archiviazione nel 2013, Gilberto Cavallini è tornato al centro delle attenzioni a seguito del dossier inoltrato alla magistratura nel luglio 2015 ed elaborato dall’Associazione dei familiari delle vittime, che aveva avviato un approfondito lavoro di ricerca, incrociando migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari, sempre analizzati separatamente e mai prima correlati fra loro, non solo relativi a Bologna, ma anche ai tanti processi per fatti di strage e terrorismo dal 1974 in avanti. In questo stesso dossier, in cui si identificano non solo le strutture clandestine, ma anche i presunti mandanti, i finanziatori e i complici della strage, è stata, tra l’altro, portata alla luce una «corrispondenza» (ritrovata tra le carte del processo bis per la strage dell’Italicus del 4 agosto 1974) «che prova l’ospitalità data nel 1984 in Paraguay dal leader ordinovista Massagrande a Licio Gelli (già condannato per il depistaggio sulla strage di Bologna) e l’interesse a un incontro con Gelli mostrato, in questa occasione, da Paolo Marchetti e Rita Stimamiglio, le stesse persone che ospitarono, nel gennaio-febbraio 1981 a Padova, Fioravanti, Mambro e Cavallini».

Il dossier ha originato due filoni di indagine. Un primo, che ipotizza l’alto tradimento di graduati militari, trasferito a Roma, e un secondo a Bologna, di cui però la procura a marzo scorso ha chiesto l’archiviazione. È uno dei motivi, insieme ai mancati indennizzi promessi per le vittime del terrorismo e all’effettiva desecretazione degli archivi disposta dal governo Renzi, della plateale protesta dei familiari alla commemorazione ufficiale di quest’anno, all’insegna de «La storia non si archivia», che capeggiava sul manifesto di convocazione.

Oggi il tribunale deciderà sull’opposizione dell’Associazione dei familiari delle vittime alla richiesta di archiviazione. Un passaggio importante per la ricerca della verità.