Orlando, Rinaldo, Tristano, Perceval, Lancillotto, Galvano. Accanto a questi leggendari e cavallereschi eroi e alle loro avventure, che affiorano nella nostra memoria di lettori, una nuova edizione ci invita a riscoprire anche Guiron e il suo ciclo di romanzi, che circostanze avverse avevano occultato e che ci offrono storie non meno fascinose di quelle degli altri paladini. Il Ciclo di Guiron le Courtois è, insieme al Lancelot-Graal e al Tristan, uno dei capolavori del romanzo in prosa francese, che nella prima metà del tredicesimo secolo prese il posto del romanzo in versi – quello che era stato di Chrétien de Troyes – e si impose come nuovo genere dominante.
Composto negli anni 1235-1240, il Ciclo di Guiron – formato dal Roman de Meliadus e dal Roman de Guiron, e noto anche come Roman de Palamedés – ebbe subito una straordinaria fortuna anche in Italia: non pochi manoscritti sono di origine italiana, dove l’opera era molto apprezzata, dove l’imperatore Federico II, in una lettera del febbraio 1240, ringrazia Segreto di Messina per avergli inviato un «liber Palamides». È nelle librerie signorili dell’Italia settentrionale che Boiardo e Ariosto dovettero conoscere il Ciclo di Guiron, che ebbe un ruolo cruciale nell’ispirare tanti episodi dei loro capolavori. A questa grande fortuna non corrispose un analogo interessamento da parte della filologia otto e novecentesca che, curiosamente insensibile alla sua avvincente molteplicità narrativa e forse anche disorientata dalla complessità della tradizione manoscritta, dalla presenza di innumerevoli espansioni e continuazioni, lo giudicò un’opera malriuscita, disordinata e confusa, e non si impegnò a darne un’edizione.
Solo recentemente il Ciclo di Guiron è ritornato in primo piano: nel 2004 Richard Trachsler curava un’antologia, con una felice scelta di episodi; nel 2010 un importante volume di Nicola Morato proponeva, con una serrata analisi sia filologica che narratologica, una nuova sistemazione complessiva della tradizione manoscritta; nel 2011 si costituiva un gruppo di ricerca internazionale proprio per studiarlo a fondo, nei suoi aspetti filologici e letterari, e per prepararne un’edizione. Questo «Gruppo Guiron», come ha voluto chiamarsi, è sotto la direzione di Lino Leonardi e di Trachsler e il coordinamento di Morato e comprende esperti specialisti – Fabrizio Cigni, Barbara Wahlen, Anne Schoysman, Fabio Zinelli – e giovani ricercatori. Dove la critica precedente, secondo la prassi della filologia francese novecentesca – dimentica della grande lezione di Gaston Paris – si era concentrata su un solo manoscritto, il 350 della Bibliothèque Nationale de France, che avrebbe rappresentato lo stato originario dell’insieme testuale, il «Gruppo Guiron» ha esaminato sistematicamente i singoli codici (struttura materiale, stratigrafia linguistica, rapporto testo-immagine) e i loro rapporti pervenendo, con un’operazione di «filologia diacronica», a individuare la struttura del ciclo: «un sistema articolato di più redazioni, una pre-ciclica per il Meliadus, diverse cicliche per il Mediadus e per il Guiron, una isolata per la Suite Guiron».
Un primo notevolissimo risultato sono i tre volumi, pubblicati dalle Edizioni del Galluzzo/Fondazione Ezio Franceschini – disponibili anche in open access: www.sismel.it – dell’edizione critica diretta da Leonardi e Trachsler: Il Ciclo di Guiron le Courtois, IV. Roman de Guiron. Parte prima, a cura di Claudio Lagomarsini (pp. XVI-897, € 110,00); V. Roman de Guiron. Parte seconda, a cura di Elena Stefanelli (pp. XVI- 920, € 110,00), VI. Continuazione del Roman de Guiron, a cura di Marco Veneziale (pp. XVI-530, € 80,00). Seguiranno il Roman de Meliadus con le Continuazioni, in tre volumi, e la Suite Guiron.
Questi volumi, mettendo in atto un nuovo radicale modello di analisi filologica, ci restituiscono finalmente un Roman de Guiron nella sua realtà testuale. I curatori rivendicano anche la sua grande importanza nella storia del romanzo cavalleresco e le sue qualità estetiche: in ogni volume un ampio capitolo è dedicato all’analisi letteraria, per mettere a fuoco la tecnica narrativa, il montaggio, la posizione dell’autore rispetto alla tradizione. Il Roman de Guiron rinvia fondamentalmente a qualcosa che è già stato, è la storia del glorioso passato degli antenati, come rivela anche lo straordinario episodio della fortunosa discesa di Brehus nella caverna che è il sacrario dei Bruns, dove è sepolto Fébus il Forte, il bisnonno di Guiron. La narrazione è focalizzata alternativamente sui diversi attanti che entrano di volta in volta in scena e questa raffinata tecnica dell’«entrelacement», vertiginoso gioco contro il tempo, ha anche effetti molto particolari: ogni evento è relativizzato e umanizzato, perché interpretabile soltanto alla luce di altri eventi, vissuti o raccontati. Spesso i cavalieri non esitano a confessare ai compagni i loro errori e anche le vergogne subite, e persino a riderci sopra.
In un insieme apparentemente discontinuo e invece molto connesso, il romanzo dispiega alcune linee progressive ben definite, sequenze di lunga gittata, come l’innamoramento di Lac e di Guiron per la moglie del loro compagno d’armi Danain. Guiron, scisso tra l’amore e l’amicizia, sceglierà la fedeltà assoluta nei confronti dell’amico-rivale, leggendo sulla sua spada, nel momento in cui sta per cedere alla passione, che Lealtà supera ogni cosa e Tradimento disonora quelli in cui alberga. In un episodio speculare e rovesciato Danain si innamora di Bloie, la donna di Guiron, ma non lo ripaga della stessa moneta, rapisce Bloie e fugge con lei. Guiron si getta all’inseguimento e, alla fine di una laboriosa ricerca, li ritrova e ingaggia un terribile duello con Danain, sta per ucciderlo ma poi prevale l’amicizia e lo risparmia. A sua volta sarà Danain, dopo altre avventure, a salvare Guiron e Bloie legati seminudi a un albero da un cavaliere fellone ed esposti al gelo. Finalmente rappacificati, i due arrivano alla Foresta delle Due Vie e sono costretti a dividersi e a seguire due strade diverse, che li condurranno a nuove, strane avventure.
Una lunga storia che ci restituisce perfettamente la tonalità del Romanzo di Guiron, costruita com’è sul rapimento, sul duello, su odio e amicizia che si intersecano, su una curiosa mescolanza di egoismo, violenza e coscienza morale. Qui, come in tanti altri racconti, i personaggi incontrano sul loro cammino damigelle perfide e bellissime, nani orribili, immani giganti, cavalieri codardi, ospiti infidi; come dice bene Lagomarsini, «sono tutti attanti e situazioni che, combinati tra loro, comportano un’espansione del narrabile arturiano, soprattutto in direzione del grottesco». Da qui ai cavalieri falsi, loschi e omicidi del Furioso e dell’Orlando innamorato, a figure come Orrigille, bella ma «disleale e di rea natura», o la brutta e perfida Gabrina, con Zerbino costretto a farle da cavaliere, per quanto lei lo derida e lo inganni, il passo è breve. Ma, al di là di questa folta presenza tematica, avvertiamo come Boiardo e Ariosto si sentissero soprattutto in sintonia con l’assetto strutturale, legato all’impatto emotivo e all’organizzazione delle trame. Nei poemi cavallereschi italiani troviamo, come nel Roman de Guiron, un andamento erratico, ricco di analogie e di rovesciamenti, dove l’avventura, sotto i colpi della fortuna o della malasorte, prende anche la forma e il colore della novella.