‘O’ che la vole signorina?” l’apostrofavano in tal modo nelle aie, nelle osterie e nelle case del popolo -erano gli anni sessanta- dove la giovane ricercatrice Caterina Bueno andava a ritrovare canti popolari tramandati oralmente nelle campagne. Proprio lei, figlia di un pittore spagnolo e una scrittrice svizzera, approdati a Firenze durante la guerra, perciò sensibile alla parlata toscana sin da bambina che le lasciò la passione per le ninnenanne, i rispetti e gli stornelli. «Da piccola durante una gita a Bivigliano con alcune amiche chiedemmo dove si trovasse un certo luogo ad una vecchietta che raccoglieva legna. Ci rispose così: ’Bisogna andare là dove la strada muore e promuove il sentiero’. Rimasi incantata. Ecco: in tutti questi anni non ho fatto altro che cercare ciò che questa donna mi aveva mostrato per la prima volta, ovvero il nobile parlare inteso non come espressione di bei sentimenti ma come eleganza nel porgere le parole, tipica delle campagne toscane».

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Partendo dai canti di lavoro e del maggio, recuperati col suo registratore Geloso dalle fonti dirette, e cominciando a cantarli, la Bueno divenne la più importante interprete della musica toscana, già presente nello spettacolo Bella Ciao del 1964 col Nuovo Canzoniere Italiano e Ci ragiono e canto di Dario Fo l’anno seguente. Incise per I dischi del Sole e ha fatto concerti e spettacoli in Italia e all’estero, per una carriera da solista lunga quarant’anni, delineando negli anni un canzoniere politico vibrante, fortemente impegnato nelle battaglie civili e intriso dei valori del mondo contadino.

A dieci anni dalla morte, avvenuta nel 2007, il musicista Marco Rovelli ha portato in giro uno spettacolo di teatro-canzone, La leggera, un omaggio a quella donna che aveva conosciuto (e frequentato) davanti a un bicchiere di vino, che mette in scena i suoi pezzi più noti, da Maremma a Battan l’otto, intrecciandoli alle storie della vita di Caterina, legate coi ricordi di altri due autori, l’attore Carlo Monni e il poeta Altamante Logli, amici di vecchia data della cantante, cultori della poesia improvvisata e dell’ottava rima. Proprio il testo dello spettacolo e le sue ventuno canzoni formano il libro-cd Bella una serpe con le spoglie d’oro (edito da Squilibri, euro 18) dove Rovelli, già componente del gruppo Les anarchistes, scrittore e insegnante di liceo, propone il repertorio della Bueno (già omaggiato nel 2010 da un album doppio di Riccardo Tesi e Maurizio Geri, Sopra i tetti di Firenze) con un taglio vocale molto personale, concentrato e intenso, avvalendosi dei delicati arrangiamenti di Rocco Marchi.

Un modo  per ricordare Caterina Raccattacanzoni, personaggio dalla voce inconfondibile che ha segnato una stagione importante della canzone popolare italiana, annodando i fili di una memoria che stava velocemente scomparendo (come racconta lo scritto di Maurizio Agamennone, compreso nel booklet, con ricco corredo fotografico). Un modo suadente per ridare smalto e forza a quei canti d’amore (che sono tema dominante del folk toscano perché cantarli è riscatto dalla fatica del lavoro), canti del Maggio, canti operai e d’anarchia che celebrano sovversivi come Sante Caserio, Il Maschio di Volterra, Storia di Rodolfo Foscati. Autore di un libro sulla battaglia di libertà del popolo curdo, La guerriera dagli occhi verdi, Rovelli aveva già avvicinato gli amati personaggi, in un suo libro di qualche anno fa, Il contro in testa. Gente di marmo e d’anarchia, edito da Laterza.