Sfinita e in balia di se stessa, L’Aquila. Un susseguirsi di accadimenti, giudiziari e amministrativi, hanno ridotto allo stremo una realtà già provata. Ieri una drammatica protesta si è consumata nella centralissima sede di Bankitalia, in piazza Duomo, a favore dei negozianti che operano nel capoluogo abruzzese e negli altri paesi del cratere sismico. Durante una riunione il direttore provinciale di Confcommercio, Celso Cioni, si è barricato nel bagno con una tanica di benzina e un accendino e ha minacciato di «darsi fuoco se il governo non rivedrà le condizioni del sistema bancario, almeno nei centri del cratere e della città, che è ancora militarizzata», come ha scritto in una mail.

A L’Aquila l’economia langue, aggravata, più che in ogni altra parte d’Italia, dal disastro causato dal terremoto quasi cinque anni fa e dalla lentezza e dalla confusione che stanno accompagnando una ricostruzione che va avanti a singhiozzo, nell’incertezza più assoluta. E della quale il governo non sembra preoccuparsi più di tanto, se non per il fatto di spedire, ogni tanto, qualche ministro in tour tra le macerie, a rilasciare dichiarazioni rassicuranti.

«Gli esercenti – ha detto Cioni – sono stati costretti dal terremoto a lasciare i propri negozi senza ottenere alcun sostegno». Sono stati momenti di sconcerto. È stato il parapiglia quando il rappresentante di Confcommercio, dopo aver annunciato l’inizio di uno sciopero della fame e della sete, ha aggiunto: «Se verranno forzate le porte della stanza dove sono barricato… ho con me benzina e accendino. Lo faccio per lanciare il grido di dolore dei piccoli esercenti di questa martoriata città, che hanno dovuto abbandonare le proprie attività dopo il cataclisma che c’è stato. Non hanno avuto alcun aiuto e, solo facendo debiti, si sono ricollocati alla bell’e meglio e sono disperati e con le banche che li tengono quotidianamente sotto pressione. Molti commercianti – ha evidenziato Cioni – sono esasperati e ricorrono a medici e psicofarmaci per sostenere questo stato di cose di cui non hanno colpe. Come sapete ci sono casi di suicidi. Domando se qui possono applicarsi le stesse regole di luoghi dove non è successo nulla. Basta con questa situazione che non meritiamo. Se il quadro nazionale – ha aggiunto – non è fra i più edificanti, quello della provincia dell’Aquila non può che definirsi catastrofico».

Dopo una fitta attività di mediazione Cioni ha desistito dall’idea di darsi fuoco. «Un gesto estremo – commenta il presidente provinciale di Rete Imprese Italia, Lorenzo Angelone – che esprime con la massima efficacia la frustrazione delle associazioni di categoria e la disperazione delle piccole e medie imprese». Le quali – secondo Enzo Giammarino, direttore regionale di Confesercenti Abruzzo – non hanno più la forza di aspettare i tempi della burocrazia. Insieme – aggiunge – continueremo a batterci per ridare dignità al lavoro dei piccoli imprenditori oppressi da tasse, burocrazia, credito azzerato, inefficienze e lentezze della ricostruzione economica e sociale». Una situazione disastrosa, dunque, che – secondo alcuni – potrebbe peggiorare con le dimissioni del sindaco Massimo Cialente, che ha deciso di lasciare dopo che il suo vice e alcuni attuali ed ex assessori sono stati coinvolti nell’ennesimo scandalo legato a tangenti e ricostruzione. «Se dal punto di vista umano e morale la scelta di Cialente è comprensibile e anche condivisibile, sul piano pratico e politico rischia di essere un harakiri – afferma il segretario generale di Apindustria L’Aquila, Massimiliano Mari Fiamma -. Qui c’è stato il “tradimento” del governo che ha stanziato fondi non solo insufficienti ma addirittura ridicoli per la ricostruzione e poi ecco il regolamento attuativo del bando della delibera Cipe (100 milioni di euro) che, senza recepire le puntuali e articolate proposte di tutti gli attori economici del territorio, è stato varato sotto Natale con un testo assurdo. Come non bastasse il ministro Trigilia, palesatosi alcune volte tra le rovine con carichi di promesse disattese, ha pubblicamente affermato che “il governo non è un bancomat” e che è inutile chiedere un miliardo l’anno quando la capacità di spesa è della metà. Una palude…».