Questa volta la piazza era piena. A Campobello di Mazara, a pochi passi dal covo di via Cb31 dove si è nascosto Matteo Messina Denaro per almeno due anni prima dell’arresto, la gente si è presentata in massa. C’erano i sindaci dei comuni della provincia di Trapani, Cgil Cisl e Uil, i compagni e gli attivisti della casa della memoria «Felicia e Peppino Impastato».

In centinaia hanno riposto alla manifestazione organizzata da Giuseppe Castiglione ed Enzo Alfano, sindaci di Campobello e Castelvetrano. Due i cortei partiti alle 18 con lo slogan «No alla mafia», confluiti poi in via Cb31, al limite della “zona rossa” presidiata dalle forze dell’ordine. La comunità di Campobello si è mossa dalla parrocchia Madonna di Fatima, mentre a Castelvetrano il corteo è partito dall’ex concessionaria Mo-Car confiscata alla mafia per raggiungere il vicolo dove gli uomini della scientifica proseguono nel controllo del covo. In testa ai cortei il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Angelo Giurdanella, e l’emerito monsignor Domenico Mogavero, che nell’ultima omelia, con le lacrime agli occhi, non ha risparmiato parole di fuoco contro l’ex latitante. La mafia fa schifo», «No alla mafia», alcuni dei cartelli mostrati dai manifestanti.

Andrea Bonafede, in carcere per associazione mafiosa, rimane in silenzio. Il geometra che ha prestato l’identità al capomafia ha fatto scena muta davanti al gip. «L’ho trovato in forma, aspettiamo la conclusione delle indagini» dice il suo avvocato al termine dell’udienza per l’interrogatorio di garanzia. Un evidente cambio di strategia difensiva rispetto alla prima fase d’inchiesta, quando Bonafede, sentito dopo il blitz di lunedì, aveva fatto mezze ammissioni. Verità mischiate a menzogne, sostengono gli investigatori, propensi a credere che il fedelissimo del padrino abbia ammesso solo quel che non poteva negare, come l’aver dato la carta d’identità a Messina Denaro, l’aver comprato per suo conto, con 15mila euro ricevuti dal boss, la casa di vicolo San Vito in cui il capomafia viveva e di avergli dato una mano ad acquistare la Giulietta.

Sul resto il geometra di Campobello per gli inquirenti ha raccontato frottole. Ha detto, ad esempio, di conoscere fin da ragazzo il capomafia, ma di averlo perso di vista fino a un anno fa e di averlo incontrato, da gennaio 2022, solo in due occasioni. In entrambe Messina Denaro gli avrebbe chiesto aiuto: per curarsi e per trovare un appartamento. E Bonafede l’avrebbe accontentato dandogli la carta d’identità e il codice fiscale utilizzati per le terapie oncologiche e comprandogli casa.

Ma le date non tornano: agli inquirenti risulta che un Andrea Bonafede, di certo non il geometra e quindi il capomafia con i documenti dell’altro, a dicembre del 2020 si è operato all’ospedale di Mazara del Vallo. Dunque il “prestito” di identità risale almeno a un anno prima di quel che il geometra sostiene. Il tempo dirà se Bonafede tradirà l’amico e racconterà gli ultimi due anni almeno della sua latitanza.

Le indagini sulla casa proseguono, così come quelle sulla stanza nascosta trovata nella casa del fratello di un condannato per mafia, Errico Risalvato, e sull’appartamento di via San Giovanni, sempre a Campobello, in cui il padrino avrebbe vissuto prima di trasferirsi nell’ultimo covo. Gli immobili sono stati perquisiti anche con il georadar che può individuare locali nascosti. «Smentiamo che l’immobile sia stato un rifugio di Messina Denaro e che in casa ci fosse un bunker. Quello trovato era un ripostiglio in cui venivano conservati oggetti preziosi della famiglia», dicono gli avvocati Mattozzi e Stallone che difendono Risalvato.

Ieri è stata perquisita anche la casa di famiglia di Messina Denaro a Castelvetrano. I carabinieri hanno passato al setaccio l’appartamento trovando vecchie foto del capomafia, una scatola con i suoi vecchi Ray Ban a goccia, un libro sulla mafia e una bottiglia di champagne. Il padrino continua a rinunciare alle udienze in cui è imputato: la scorsa settimana quella a Caltanissetta del processo d’appello per le stragi mafiose del ’92 e oggi quella davanti al gip nel procedimento contro la mafia agrigentina e trapanese. La sua posizione è stata stralciata da quella degli altri imputati perché era latitante.