Arriverà anche in Italia (forse la stagione prossima), al Massimo di Palermo che ne è coproduttore con l’Opera Garnier di Parigi e la Staatsoper Unter den Linden (dove è in scena fino a domenica 17 novembre). Il primo omicidio è una importante realizzazione di teatro musicale elaborata e realizzata, assieme al musicologo barocco René Jacobs, da Romeo Castellucci, che ha trasformato in un imponente e inquietante spettacolo l’oratorio Caino, il primo omicidio che Alessandro Scarlatti mise in musica nel 1707 sul libretto di Antonio Ottoboni. Quella che era nata insomma come una creazione quasi di liturgia devozionale di puro ascolto, di altissimo livello creativo ovviamente, prende qui corpo con i cantanti che divengono attori di quel mistero sanguinario che le Scritture pongono alla Genesi del mondo: l’assassinio dispettoso e carico di rancore che Caino perpetrò contro il fratello Abele, dopo la cacciata dei genitori Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, «il primo omicidio» appunto.

È OSCURA infatti, e quasi sinistra, la prima parte dell’opera: Adamo ed Eva perdono le mele, frutto del peccato, disseminandole sulla scena; l’efferato delitto fraterno macchia di rosso il petto di Abele e le mani di Caino. Ma Eva si muove e sospira come una diva del muto, quasi aggrappandosi a tende che non ci sono, per coprire quel «primo omicidio». C’è un letterale rispetto da parte di Castellucci, solo qualche ironia. Abbacinante la discesa di un pannello che riproduce la tentazione del serpente secondo Simone Martini. Sia il Diavolo tentatore che Dio stesso, prendono corpo in abiti borghesi, ma sostengono la vicenda tragica le due mezzo soprano che interpretano i due fratelli. Forti, convincenti, strepitose. La seconda parte dello spettacolo ne cambia completamente l’andatura. Il rapporto tragico dei fratelli si consuma su un campo sdirupato e contraddittorio come i loro sentimenti.

L’UNICA tinta decisa è quella dei giganteschi pannelli monocromi che richiamano la pittura di Rothko. Come ad un tratto dalla partitura di Scarlatti emanano accenti che ricordano qualche passaggio alla Michael Nyman, ed è evidente chi abbia «copiato» chi. Ma dopo il delitto insostenibile, i personaggi scendono progressivamente nella buca dell’orchestra, da dove cantato le loro parti, doppiando i bambini che gradualmente li sostituiscono in scena (e che a loro volta mimano il cantare). Non è un espediente spettacolare, ma un affondo struggente nella coscienza dei personaggi, nell’ispirazione di Scarlatti, e anche in chi vi assiste dalla platea della Staatsoper. Quel rovesciamento generazionale sembra dar corpo a una innocenza perduta per sempre, nonostante le contraddizioni sentimentali di Adamo ed Eva, ma tutto quasi visto in trasparenza.

COME l’evocazione, a un tratto, di un qualche profumo di Sangue romagnolo, quando arrivano gli altri ragazzi, uno perfino in bicicletta. Il fattaccio si è ormai consumato, il passato va seppellito (magari sotto un telone di cellophane), ognuno si prenderà le sue responsabilità, da pagare per sempre. Come un bagliore del passato si chiude quell’apparizione del peccato «originale», e al «primo omicidio» ne seguiranno infiniti altri. Sempre per futili motivi, di privato interesse, come Caino ha insegnato al mondo.
Scarlatti romba e tuona del finale, in una dimensione grandiosa e ritrovata. Kristina Hammarström e Olivia Vermeulen, che danno voce e corpo a Caino e Abele, sono protagoniste strepitose di questo catalogo alterno di nefandezze e pentimenti. E insieme alla sicurezza di Romeo Castellucci che firma regia, scene, costumi e luci, brilla sempre di più il lavoro su sei e settecento da parte di René Jacobs, che con la sua B’Rock Orchestra ci restituisce uno Scarlatti trasformato e fortissimo.