Dal mese di settembre 2019 è stato dato il via a un piano di rinegoziazione della parte di mutui contratti dai Comuni con Cassa Depositi e Prestiti e posti in capo al Ministero dell’Economia.

Moltissimi Comuni stanno ricorrendo a questo strumento e sui giornali locali e nazionali si sprecano articoli che suonano così “Il Comune X ha rinegoziato i mutui, risparmiando tot milioni”, con dichiarazioni di sindaci che annunciano mirabilie coi soldi che a breve entreranno nelle casse comunali. Il tutto benedetto dall’Anci (l’Associazione nazionale dei Comuni italiani), che è stato promotore dell’intesa con Cassa Depositi e Prestiti. In cosa consiste l’operazione? In pratica, ogni Comune rinegozia i mutui in essere, spalmando diversamente rate e interessi, liberando risorse ora e caricando di maggiori oneri gli anni successivi, quelli prossimi alla scadenza del mutuo.

In questo modo, i Sindaci di oggi possono usufruire di soldi immediati, mentre i loro Comuni chiudono un’operazione che, nel conto finale, produce un saldo negativo.

Sicuramente, i Sindaci avranno risorse con cui tentare di rivincere le elezioni a breve, potendo realizzare opere che prima non avevano copertura finanziaria, ma le loro comunità territoriali aumenteranno il loro debito complessivo, mentre Cassa Depositi e Prestiti rinsalderà il cappio finanziario al loro collo e potrà esibire nuovi dividendi per gli azionisti (Stato e fondazioni bancarie).

Per fare un esempio concreto, prendiamo il caso di Torino, che ha rinegoziato 295 mutui, corrispondenti ad un debito residuo di 539.682.782 euro, portando nelle casse della giunta Appendino 32 milioni.

L’operazione consiste nel fatto che Cassa Depositi e Prestiti rinvia di due anni (guardacaso, giusto il tempo da qui alle elezioni) la riscossione delle rate dei mutui, che vengono spalmate negli anni successivi, a tassi di interesse più alti. La rinegoziazione, comportando maggiori oneri a decorrere dal 2037 e fino al 2045 per 97.315.291 euro, presenta per il Comune un costo netto complessivo stimato in 32.467.205 euro.

Di fatto, il Comune non ha ottenuto alcuna riduzione dell’importo complessivo da restituire alla Cassa, ma un allungamento della durata del debito fino all’anno 2045 e un appesantimento dei bilanci degli anni futuri.

È lo stesso meccanismo dei derivati, applicato in questo caso non da squali della finanza, bensì dallo Stato e dall’Anci, con la complicità dei sindaci e a danno delle comunità territoriali.

Stiamo parlando per tutti i Comuni di mutui con tassi di interesse tra il 4% e il 6%, che, all’attuale costo del denaro, rasentano l’usura.

Invece di proporre una rinegoziazione che aumenta le difficoltà finanziarie degli enti locali, l’Anci avrebbe potuto proporre a tutti i Comuni una battaglia per la ristrutturazione dei debiti, chiedendo una drastica riduzione dei tassi a Cdp (e allo Stato) e motivandola come una doverosa restituzione di quanto sottratto alle comunità locali in venti anni di patto di stabilità.

Ma sindaci, Anci, Cdp e Stato hanno perso da tempo lo sguardo sul tempo lungo della qualità della vita per porre l’attenzione sul tempo corto del fare soldi “sporchi, maledetti e subito”; e da altrettanto tempo, hanno perso l’attenzione all’interesse generale per focalizzarsi ciascuno sui propri tornaconti particolaristici e privatistici.

Se si tiene infine conto del fatto che le risorse di Cassa Depositi e Prestiti provengono dal risparmio dei cittadini, il cerchio dell’alienazione si chiude: sono gli abitanti del Comune a mettere le risorse che serviranno ad espropriarli di risorse, diritti, beni comuni e servizi.

Quanto tempo dovrà ancora passare perché le comunità territoriali si ribellino a questa gigantesca truffa e pongano con forza la riappropriazione collettiva della ricchezza prodotta e la socializzazione di Cdp?