«L’uomo in carcere in Italia sta pagando al posto mio. E mi dispiace per lui». Lo scrive il famigerato trafficante di uomini Medhanie Yehdego Mered in una conversazione privata su Facebook con un amico di vecchia data. È quanto emerso da un’inchiesta esclusiva pubblicata ieri dal Guardian, nel giorno della prima udienza del processo al presunto mercante di uomini estradato lo scorso maggio dal Sudan.

DA QUASI CINQUE MESI, una cella del carcere di Pagliarelli, nel capoluogo siciliano, ospita un giovane eritreo che i pm dicono essere Yehdego Mered, detto «il Generale», il più sanguinario tra i trafficanti in Libia. Ma poche ore dopo il suo arresto a Khartoum, in un’operazione coordinata dai pm palermitani in collaborazione con gli agenti della Nca britannica (corrispettivo dell’Fbi nel Regno unito), sui maggiori siti d’informazione iniziarono a circolare le testimonianze di numerosi rifugiati che sollevavano dubbi sull’identità dell’uomo estradato. Sono tutti eritrei, vittime giunte in Europa sui barconi della morte del «vero Mered».

E, come ricostruito da un’altra inchiesta pubblicata sul manifesto lo scorso 13 ottobre, tutti sostengono che l’uomo catturato a Khartoum non è lui. La vittima dell’errore sarebbe infatti un rifugiato eritreo di 26 anni, Medhanie Tesfamariam Behre.

«Behre è solo un giovane profugo che mungeva vacche in Sudan in attesa di raggiungere l’Europa», diranno di lui parenti e amici. «Non sono io Mered – dichiarerà il ragazzo il giorno dell’interrogatorio – abbiamo in comune solo lo stesso nome di battesimo».

Medhanie Yehdego Mered non è un eritreo qualunque. I suoi connazionali lo conoscono bene. I procuratori di Palermo Maurizio Scalia, Gery Ferrara e Claudio Camilleri nel 2015 ne tracciano un profilo preciso e terrificante nelle carte dell’operazione «Glauco II». «Sono il nuovo Gheddafi», si vanta al telefono il «Generale», 34 anni. Cinico e arrogante, parla dei migranti come merce da caricare e scaricare. «Quest’anno ho lavorato bene – ripete al telefono – ne ho fatti partire 8.000». Gode di complicità eccellenti Mered. E soprattutto guadagna bene. I profitti viaggiano su cifre a sei zeri. Una montagna di soldi che Mered custodirebbe in un conto a Dubai. Di lui gli inquirenti hanno anche una foto, rilasciata agli organi di stampa lo scorso anno. Capelli lunghi, baffi e al petto un grosso crocifisso d’oro che penzola su una maglietta azzurra.

È PROPRIO QUELLA FOTO ad alimentare i primi sospetti su un possibile scambio di persona. Il ragazzo dallo sguardo spento, con le manette ai polsi, appena estradato a Roma dal Sudan non gli somiglia affatto.

Ieri il Guardian, che segue la vicenda dal giorno dell’estradizione del giovane, ha pubblicato il contenuto di una chat privata su Facebook (di cui anche il manifesto è in possesso), in cui il «vero» Mered esprime ad un suo connazionale e confidente il «dispiacere» per il clamoroso scambio di persona: «Hanno fatto un errore con il suo nome. Spero venga rilasciato al più presto. Lo sanno tutti che non è lui il trafficante. Mi dispiace, sta pagando in carcere al posto mio».

Nella chat, Mered fornisce inoltre alcuni dettagli sui suoi rapporti con altri trafficanti: «A volte la gente dice tante falsità sul mio conto – scrive l’eritreo – Dicono che faccio tutto io e che lavoro con le barche di Ermias (altro famigerato mercante di uomini, ndr). C’è tanta altra gente che lavora e guadagna più di me. Io sono solo uno dei tanti».

Sull’attendibilità del profilo Facebook del vero Mered, confermato da altri due testimoni, è la stessa procura a fornire le prove: l’account utilizzato dal trafficante per scrivere all’amico è infatti lo stesso individuato dalla Procura di Palermo lo scorso anno e contenuto nelle carte dell’inchiesta Glauco II. Tra le informazioni presenti nel profilo di Mered, spunta anche un numero di telefono libico, oggi inattivo: è lo stesso intercettato dai pm nel 2014.

IN QUELLE STESSE CARTE gli investigatori puntano l’indice su una donna eritrea: Lidya Tesfu, che, secondo la Procura sarebbe moglie di Mered e pubblicano un estratto del suo profilo Facebook. E sarà una foto ripescata dal Guardian proprio sul profilo social della donna ad evidenziare ancora una volta il clamoroso errore delle autorità: nell’immagine infatti la ragazza siede accanto all’uomo che il quotidiano britannico indica come il vero Mered, nel giorno del suo matrimonio civile con la bella Lidya.

 

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Il “vero” Mered è l’uomo in camicia bianca al centro

 

La settimana scorsa, sempre il Guardian, aveva pubblicato una serie di foto che ritraevano il vero trafficante, felice e sorridente, a un altro matrimonio a Khartoum, quello del nipote Filmon. Gli scatti risalgono all’ottobre del 2015. In tutte le immagini, il volto di Mered sembrerebbe identico a quello dell’originale foto segnaletica rilasciata dalla Procura lo scorso anno.

Intanto, a Palermo, dopo l’udienza tecnica della scorsa settimana, prosegue il processo al ragazzo estradato davanti alla Quarta sezione penale – presieduto dal giudice Raffaele Malizia – dopo l’udienza tecnica della scorsa settimana.

 

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Il ragazzo arrestato in Sudan nel suo alloggio a Khartoum

 

«Già, ma chi stiamo processando? – si chiede l’avvocato Michele Calantropo, difensore del cittadino eritreo arrestato – Il rischio concreto è che si faccia il processo alla persona sbagliata. Qui bisogna prima accertare l’identità reale della persona che si vuole processare. Noi sosteniamo che Medhanie Tasmafarian non è il Generale, il trafficante di esseri umani».

DURANTE LE INDAGINI preliminari, i pm avevano chiesto di accorpare il procedimento a carico di Mered Yedhego con un altro processo, attualmente in corso, quello denominato «Glauco 2». L’udienza è stata quindi rinviata al 28 novembre prossimo in vista di una nuova composizione del collegio.

Nessun commento da parte della Procura di Palermo, in silenzio stampa sul caso dallo scorso luglio. Ribadiscono invece piena fiducia nei loro agenti quelli della Nca.