Quanto sta accadendo in queste ore al Comune di Roma ha più di un’analogia con lo scontro aperto nel 2012 – e tuttora in corso – fra la magistratura contabile, Palazzo Vecchio, e gli allora 4.800 dipendenti comunali. Nel caso fiorentino, prima il Ministero dell’economia e finanza e poi la Corte dei Conti sollevarono una contestazione nei confronti del salario accessorio dei lavoratori, quella parte dello stipendio legata a premi, indennità, lavori o progetti particolari. Peraltro, a ben vedere, il salario accessorio era stato utilizzato almeno fino al 2009 in almeno un centinaio di piccoli e grandi comuni italiani per coprire i periodi di vacanza contrattuale. E dal Mef, almeno fino all’epoca di Giulio Tremonti, non erano arrivate particolari contestazioni nei confronti dei municipi.
Solo con l’arrivo in via XX Settembre del ministro del governo Berlusconi gli ispettori del Palazzo delle Finanze, dopo una serie di accertamenti sulla contrattazione decentrata in numerosi comuni, iniziarono a muovere i loro rilievi sull’applicazione delle regole con cui, almeno a Firenze, era stata stabilita l’entità del fondo per la contrattazione integrativa dei dipendenti comunali. A seguire gli accertamenti della sezione toscana della Corte dei Conti, condotti dalla Guardia di finanza e riguardanti la “entità aggiuntiva degli stipendi conferita oltre a quella fissata dai contratti nazionali”, portarono a contestare un danno erariale di circa 50 milioni di euro a 25 persone.
Fra queste c’erano sei fra dirigenti ed ex dirigenti di Palazzo Vecchio, cinque revisori dei conti e, per la prima volta nella storia della magistratura contabile, un gruppo di 14 sindacalisti. Tutti accusati di aver prodotto atti o – nel caso dei rappresentanti sindacali – di aver firmato accordi illegittimi, seppur nell’ambito di una “responsabilità di natura gestionale”. Più in dettaglio, la vicenda fiorentina riguardava i due contratti integrativi del 2000 e del 2005, quando era sindaco Leonardo Domenici. Poi un terzo documento sottoscritto a fine 2011, quanto nella sala di Clemente VII sedeva Matteo Renzi, con il quale veniva co-firmato da Comune e sindacati un “verbale di interpretazione autentica” degli integrativi. Un documento che per la magistratura contabile aveva l’unico obiettivo di condonare le illegittimità degli anni precedenti.
Per certo nessuno dei primi cittadini è mai stato coinvolto nell’indagine. Di più: nessun rappresentante politico, dagli assessori finanziari fino ai consiglieri di maggioranza, è stato citato per danno erariale. “Eppure tutti gli atti dei contratti finiscono nei bilanci del Comune – aveva osservato all’epoca Mauro Comi, coordinatore della Rsu – presentati ogni anno dalla giunta, e approvati dal consiglio comunale”. Al contrario, a circa tremila fra dipendenti attivi, pensionati e addirittura precari (poi non confermati) arrivò all’inizio 2014 una lettera di messa in mora. Di questo tenore: “Con la presente il Direttore delle risorse umane, in nome e per conto del comune di Firenze, a seguito dell’ispezione del ministero […], fa presente che la S.V. risulta aver percepito, nel periodo 2003-2012, indennità non dovute in quanto contrastanti con le norme del Ccnl vigenti”. Di ben scarsa consolazione il fatto che il periodo 2003-06 fosse stato subito prescritto: le somme richieste andavano comunque da alcune centinaia di euro fino, in alcuni casi, a più di 10mila euro.
L’ultimo anno e mezzo è stato consumato a colpi di carte bollate. Con alcuni risultati. Ad esempio, sul ricorso di un singolo, una sentenza del 25 novembre 2014 della Corte d’appello di Firenze ha accolto la funzionalità giuridica della sanatoria introdotta dall’articolo 4 del Dl 16/2014, bloccando quindi il recupero di “somme indebitamente riconosciute a un proprio dipendente”. Sta invece andando avanti di fronte al giudice del lavoro la causa mossa contro Palazzo Vecchio dalle Rsu, che chiedono il riconoscimento dei contratti liberamente sottoscritti, e di sanare la situazione stralciando le cifre richieste ai lavoratori. E proprio questo processo in corso ha bloccato il piano di rientro, comunque studiato dall’amministrazione comunale, nei confronti del ministero.