In una contingenza particolarmente felice – e fortemente perseguita – che vede protagonisti il parco e la Reggia di Caserta, un’operazione a tutto campo intitolata Frammenti di Paradiso. Giardini nel tempo alla Reggia di Caserta, a cura di Alberta Campitelli, Alessandro Cremona e Tiziana Maffei, direttrice della Reggia, propone una lettura fortemente dialogica e accessibile della storia del giardino attraverso il prisma della loro rappresentazione (visitabile fino al16 ottobre, ma la proroga è più che probabile). Un ulteriore, non piccolo passo di un progredire, ancora a tratti a fatica, di attenzione – anche a livello istituzionale – per i giardini come snodo centrale dell’evoluzione del gusto.

Pur nel privilegiare il punto di osservazione costituito dai giardini del Parco della Reggia, in particolare cioè nell’epoca del suo apogeo, tra il Settecento e il primo Ottocento delle corti, la formula scelta mobilita l’intera messa a sistema della più recente ricerca degli studi sulla storia del giardino attorno all’evidenza di molti momenti ed episodi salienti della sua vicenda, italiana e non solo (catalogo Colonnese editore, pp. 398, € 49,00). Ricomprendendo precedenti e sviluppi, focalizzando temi e individuando testimonianze, si coniuga così notorietà dei prestiti con una ricca dotazione di oltre 150 opere tra dipinti, sculture, arazzi, oggetti d’arte, modellini, erbari, incisioni. A partire dalle diverse fisionomie dei giardini delle residenze borboniche, illustrate nella prima sezione della mostra, per il tramite di una ricca serie di progetti e vedute. Alcune espressamente commissionate – il caso del napoletano Salvatore Fergola, che nel 1827 ritrae la Reggia sullo sfondo del Vesuvio –, altre, raccolte a raggera, incastonate in miniature su avori, sul coevo tavolino meccanico di mogano, «alla foggia ercolanese».

Evidenti risultano centralità e rilievo della committenza della famiglia Borbone, Carlo in primis – e le sue predilezioni botaniche, nel ritratto di Jean Ranc, in apertura di mostra, giovanetto con in mano un gelsomino. Sempre in dialogo con la cultura giardiniera interpretata da Luigi Vanvitelli nel suo ispirarsi ai giardini di rappresentanza, specialmente francesi. Poi, Ferdinando e Maria Carolina d’Asburgo, con la realizzazione, nel parco della Reggia, del Giardino inglese. Espressione di una nuova sensibilità e ripetutamente ritratto, quasi all’origine di un nuovo genere, come testimonia Jakob Philipp Hackert che più volte mette insieme motivi provenienti da lì con elementi di fantasia.

Se nel processo di sviluppo dei giardini reali convivono elementi e tipologie, il retaggio di quelli della tradizione italiana meritava d’esser ripercorso nei suoi principali snodi, fin dalla metà del Cinquecento. È quanto propone la sezione dedicata a Il giardino in Italia. A partire da quelli delle proprietà medicee raffigurati nelle celebri lunette attribuite a Giusto Utens, come poi, a testimone dell’evoluzione del giardino barocco, con la Veduta di Villa Cetinale presso Siena di Monsù Giacomo. Figurano quindi gli episodi salienti della civiltà delle ville venete e una ricca, riepilogativa, ricognizione di testimonianze emblematiche di ambito romano, dalla Veduta del Belvedere e dei Giardini Vaticani, del 1589, per i pennelli di Hendrick III van Cleve, fino a quella della Villa una volta dei Cesi, nell’area degli Orti Sallustiani, ormai di impianto paesistico.

Sempre romana, la Veduta del Tevere dal porto della legna di Vanvitelli, del 1685, con sullo sfondo della sponda animata il portale del casino di Villa Altoviti: una delle proposte più interessanti, nella mirabile sezione dedicata alle molteplici relazioni tra acqua e giardino, tema tutto nelle corde della curatrice princeps Alberta Campitelli, anche per il rilievo che merita qui nelle molteplici sue declinazioni nei giardini della Reggia.

Oltre quella dell’acqua si rivelano ricche di spunti e all’incrocio di fitte implicazioni molte delle scelte raccolte nei Giardini come scenografia. Dagli elementi del lessico alle funzioni e occupazioni. Parterres, piattebande, fontane, elementi topiati, gruppi scultorei, veri e propri «appartamenti verdi», come nell’incisione acquerellata della Veduta della Palazzina di caccia di Stupinigi di Ignazio Sclopis. Scenografie per convivialità, feste, concerti, giochi, tornei. Ma anche veri e propri palcoscenici per recite e spettacoli. E poi teatri d’acqua, di rovine, di verzura, come quello illustrato dal settecentesco Modello ligneo dell’anfiteatro di verzura e di fiori di Villa Bernardini presso Lucca.

Ambientazioni effimere, allegoriche, mitografiche, in notturno. E immaginifici giardini d’invenzione. Come nel caso delle tre Vedute di fantasia con villa del primo Seicento attribuite a Francesco Mingucci.

Meno convincente il panorama restituito da alcune sezioni, come quella dedicata a Il giardino e il selvatico, dov’è quasi ridotto a spettacolo venatorio, piuttosto che non al ben più complesso tema delle amministrate relazioni con il selvatico cui è intitolato. O alle proposte che orbitano attorno all’immenso, scivoloso, soggetto dei Giardini e rappresentazione simbolica. Idealizzati, sempre evocati per forza di allegorie, tra virtù, significati religiosi e letture profane, risultando troppo connessi alle diverse temperie culturali per poter viaggiare senza agganci ai contesti, assoluti.

Infine, con oculatezza la sezione su Giardini e botanica restituisce le varie forme di considerazione per il soggetto vegetale riflesse nel crescente interesse per le piante. Dalle testimonianze di una nuova sensibilità naturalistica veicolata da committenze e apparati iconografici della trattatistica, resa in mostra con il Narciso giallo e mantide religiosa di Jacopo Ligozzi, alla trasposizione nelle allegorie delle stagioni con ghirlande e festoni di Pier Francesco Cittadini.

Così, complice anche la diffusione di nuove specie esotiche, le mode floreali finiscono per riflettersi persino negli arredi – qui, lampade a forma di ananas, in bronzo dorato e cristallo molato –, mentre nel periodo barocco e rococò grande fortuna continua ad arridere alla floromania, con le nature morte di Gasparo Lopez, detto dei Fiori, come altre, fin nel titolo, ambientate in un giardino.

Malgrado questa spesso evocata restituzione di piante e fiori in contesto, nel ripercorrere filologicamente letture e gusti coevi, è raro – e scarsamente indagato – il protagonismo dell’elemento vegetale in atto, dall’estetica degli accostamenti alle pratiche, ai saperi, alle strumentazioni per la coltivazione. Certo, anche per l’approssimazione delle rappresentazioni, spesso stilizzate, e spia di una diversa considerazione, ancillare del rilevo del ruolo vegetale…. Che non è ormai più, però, quella della nostra attenzione d’oggi. Ma questa è tutta un’altra mostra.

Nel gioco di relazioni tra rappresentazioni del giardino e giardino reale, tra quell’artificio vivente e la sua trasposizione per via d’altri linguaggi, procedere così, per Frammenti di Paradiso, evoca a ogni passo un colloquio di slittamenti e reciprocità che, nella sobria eleganza del percorso espositivo (allestimento di Lucio Turchetta), ospitato in alcune sale di rappresentanza dell’appartamento della regina, si amplifica e si moltiplica ogni volta che la ricchezza di impianto delle scelte in mostra entra in risonanza con la potente suggestione della prossimità, fuori dalle pareti, del Parco reale e, traverso gli affacci, della diretta relazione visiva con la sua scenografica Via d’Acqua.