Cinema Ritrovato quest’anno si espande non solo con il prolungamento di due giornate prefestival, ma anche fisicamente, a includere Pasolini per le esclusive visioni con proiettore a lampada a carboni, e col numero di sezioni, che superano la ventina, comprendendo la nascita della nouvelle vague iraniana, il muto 1915 curato da Mariann Lewinsky, film italiani muti e sonori inclusa una sezione Renato Castellani, Technicolor e il colore giapponese, il cinema del Disgelo, il serial Les Vampires, un omaggio a Peter von Bagh, Chikly pioniere del cinema tunisino, il genocidio armeno, jazz/cinema, il recupero della brillante compagna di Cretinetti Valentina Frascaroli… Poiché è impossibile presentare in modo esaustivo un programma che spazia dalla rarità assolute ai grandi classici restaurati, si possono pregustare invece alcune proposte.

 

Cominciamo dalla presentazione in Piazza Grande dell’omaggio a Ingrid Bergman, introdotto dalla figlia Isabella Rossellini, che oltre alla rassegna dei primi film svedesi dell’attrice, culmina con la presentazione di Casablanca, che fece di lei una star romantica indimenticabile. Un film ipernoto anche a chi non l’ha mai visto per via del gran numero di citazioni, e che ebbe una vicenda produttiva altrettanto leggendaria. Tratto da un’opera teatrale mai andata in scena, Everybody Comes to Rick’s degli oscuri Murray Barnett e Joan Alison, Casablanca ne conserva praticamente solo i nomi e alcune relazioni tra i personaggi, oltre all’antistorico MacGuffin delle lettere di transito, mai esistite in realtà nel Marocco francese controllato dal governo filonazista di Vichy durante il secondo conflitto mondiale. Nell’opera teatrale anzi Ilsa era una donnaccia, Rick un mariuolo e l’ambiente un postaccio di marginali, motivati solo dal denaro: nessuno ci avrebbe cantato in coro la Marsigliese. Non c’era sentore dell’afflato idealistico-propagandistico della pellicola, una semplificazione apparentemente ingenua, ma ironica quanto efficace della guerra, che condanna Vichy gettando nella spazzatura una bottiglia della nota acqua minerale, mette in scena la forza distruttiva del nazismo incarnandola nell’elegante maggiore Strasser, interpretato dall’esule filo-ebreo e icona dell’espressionismo tedesco Conrad Veidt (il Cesare di Caligari), e si esprime in mitiche battute come: «Ricordo tutto di Parigi: i tedeschi erano in grigio e tu in blu».

 
La sceneggiatura, che vinse un meritato Oscar, è opera di un pool di sceneggiatori di diversa formazione, dai gemelli Epstein (da Strawberry Blonde ai documentari di propaganda prodotti da Frank Capra) all’impegnato Howard Koch fino al non accreditato ma risolutivo Casey Robinson, e fu terminata a riprese già iniziate: pare che nessuno sul set sapesse in effetti chi avrebbe scelto la norvegese Ilsa, Laszlo, l’eroe della resistenza interpretato dal triestino Paul Henreid, o il ruvido americano, Humphrey Bogart?

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Il film rappresenta la sudditanza italiana dall’esercito tedesco nella figura di un inefficace ufficiale italiano, il capitano Tonelli (Charles La Torre), personaggio soppresso dalla censura nostrana, come modificato fu il nome del perfido faccendiere Ferrari (Sydney Greenstreet) che diventa Ferrac; ma soprattutto censurato nella versione italiana l’elemento-chiave delle colpe di Rick: l’aver contrabbandato armi per i ribelli etiopi, durante la guerra coloniale con l’Italia. Presenti tra gli interpreti alcuni attori italiani immigrati come Frank Puglia, venditore arabo di tappeti, Paul Porcasi (il marocchino che presenta Ferrari) e soprattutto Gino Corrado, recordman dell’interpretazione di camerieri a Hollywood, qui nel suo ruolo consueto. Il fascino vincente di Casablanca sta infatti nel modo in cui utilizza il grande parco di caratteristi della Warner per rappresentare il microcosmo di un’Europa in fuga dal nazismo, producendo un antinazismo viscerale, sostenuto con convinzione dalle comparse, che erano in gran numero espatriati ai quali la Warner dava ospitalità, avendo sperimentato la minaccia nazista, dato che alcuni suoi impiegati tedeschi, ebrei come i fratelli Warner, erano stati internati in campo di concentramento.

 
Imperdibile è poi The Italian (Reginald Barker-Thomas Ince, 1915), storia di Beppo, un emigrato italiano, vittima della propria miseria, che perde il figlioletto in culla, dopo esser stato derubato dei soldi del latte pastorizzato che serviva a salvarlo e aver inutilmente chiesto aiuto al boss del quartiere, Corrigan, prima di essere ingiustamente imprigionato. L’uomo vorrebbe vendicarsi strozzando il figlio del boss, ma l’immagine del figlio morto alla fine lo trattiene. Al di là della trama melodrammatica, che documenta comunque il pregiudizio antitaliano in Usa ma anche una prima ammissione di colpa, il film viene considerato il passaggio alla rappresentazione realista della città americana per le sue immagini di una New York povera e assolata, ripresa on location, coi ragazzini che si bagnano con gli idranti. (Il film infatti ha ispirato Coppola per Il padrino 2, nell’episodio New York 1917, in cui Vito Corleone entra nella mafia per curare il figlioletto malato, e Sergio Leone per l’epico inizio di C’era una volta in America). A ben guardare il film è realistico solo nella rappresentazione della comunitaà italiana immigrata nel Lower East Side, ma muove da una falsa partenza, in quanto il protagonista Beppo è un gondoliere in una Venezia sui ponti della quale transitano carretti trainati da asini e che sconfina in una campagna inverosimile.

 
The Italian inoltre era il cavallo di battaglia di un noto attore di teatro irlandese, George Beban, che costruì la sua carriera cinematografica su una serie di personaggi italiani, tra il patetico e il malavitoso. All’epoca infatti il sentimento antitaliano (ovvero anti-immigrazionista) era così forte che Hollywood cercava di evitare di affidare ruoli etnici importanti a interpreti della stessa etnia – come con i neri e gli indiani.

 
Da non perdere, prima dell’omaggio a Welles con Il terzo uomo (Carol Reed, 1949) che lo vede interprete, anche Portrait of Gina- Viva l’Italia un documentario che il grandissimo dedicò a Gina Lollobrigida, autentica glorificazione della recitazione naturalistica italiana.

 
La retrospettiva di Leo McCarey contiene alcuni esempi sia della sua produzione comica che melodrammatica, dalla strepitosa screwball L’orribile verità con Cary Grant a Un grande amore, con quell’appuntamento mancato sull’Empire State building, citatissimo in cinema e chick lit; ma da vedere assolutamente Make Way for Tomorrow (Cupo tramonto, 1937) un dramma domestico in cui una coppia di anziani che ha perso la casa cerca ospitalità dai numerosi e amati figli, ma alla fine viene crudelmente separata, per motivi di comodo – un esempio di quei cinema complesso e maturo che Hollywood sapeva fare all’epoca, usando gli anziani per un monito sentimentale e non come cinicamente fa oggi, quali target del mercato di nicchia di improbabili amori coi capelli grigi.