Pubblicato per i tipi di Palgrave Macmillan, Italian Colonialism and Resistances to Empire (1930-1970) di Neelam Srivastava – docente di letteratura postcoloniale all’università di Newcastle e autrice di importanti lavori nel campo degli studi critici su Gramsci e Fanon – è sicuramente tra i volumi più interessanti sul colonialismo italiano usciti nell’ultimo anno. I motivi che lo rendono così importante sono molteplici. Per primo, è un testo che intende presentare una storia culturale del colonialismo italiano e dell’anticolonialismo. Come scrive l’autrice, il libro «si propone di mostrare che le ambizioni imperiali dell’Italia giocarono un ruolo fondamentale, sebbene trascurato, nell’articolare un discorso di opposizione all’imperialismo occidentale più ampiamente sviluppato».

LA LETTERATURA sull’argomento, in particolare quella nell’ambito della storia politica e militare, ha affrontato questo tema a più riprese. Basti ricordare i testi di Del Boca, Labanca, di Rainero e Procacci. Ma il saggio di Srivastava certo non è un doppione di quelli che l’hanno preceduto, che recepisce in toto: parte da essi, invece, per proporre una lettura innovativa della narrazione anticoloniale in un periodo specifico, quello tra le due guerre mondiali.
A questa seconda ragione d’interesse, se ne aggiunge una terza che riguarda lo sguardo adottato. «L’anticolonialismo italiano – scrive l’autrice – è parte di una più ampia narrativa inerente l’anticolonialismo metropolitano di cui parlo in questo volume, e, più nello specifico, delle politiche globali di resistenza che si svilupparono tra il 1930 e il 1970, che si sarebbero cristallizzate nella solidarietà reciproca tra antifascisti e anticolonialisti durante la seconda guerra mondiale». Srivastava, dunque, non guarda solo alle analisi e alle strategie poste in essere dal Pci, ma anche alle reazioni su scala internazionale e globale – dall’internazionalismo nero al movimento americano dell’Harlem Renaissance, fino alla presa di posizione di alcuni intellettuali (in particolare, del cinema italiano del dopoguerra). Partendo dalle riflessioni elaborate nell’ambito degli studi postcoloniali, Srivastava studia la resistenza anticoloniale come momento di dialogo tra diverse soggettività, in parti differenti del mondo, e quale articolazione di un dibattito che può essere dirimente nel ripensare le pratiche di opposizione e l’idea di pensiero critico.

PER IL PCI l’opposizione alla missione coloniale viene interpretata dall’autrice come l’opportunità per rovesciare il regime, per rimettere in discussione il consenso di Mussolini. Dopo aver analizzato le tesi nazionali e coloniali, elaborate a Lione nel 1926, e i rapporti di Ruggero Grieco sulla situazione in Libia e nel Corno d’Africa, il volume riferisce sull’intervento del Pci nell’Africa coloniale, in particolare focalizzandosi sull’Egitto e sull’Etiopia.
Srivastava approfondisce poi come la guerra d’Etiopia sia stata interpretata all’interno del dibattito panafricano, prendendo in considerazione le valutazioni emerse da chi visse quell’evento fuori dai confini dell’Africa. Si scoprono, in tale prospettiva, gli scritti di George Padmore, tra i fondatori della Pan-African Association, e di C.L.R. James, voce nera del marxismo, originario delle Antille inglesi.

A proposito delle ricadute che il conflitto iniziato nel 1935 ebbe sul mondo della cultura panafricana, la letteratura problematizza la questione in numerose opere, come nel caso del romanzo Amiable with Big teeth (1941) di Claude McKay, scoperto recentemente e Ethiopian Stories di George Schuyler. Lo studio delle reazioni del mondo britannico delle diaspore nere occupano lo spazio del quinto capitolo. Dopo aver preso in considerazione le posizioni di alcuni gruppi politici, Srivastava si occupa, nello specifico, delle riflessioni proposte da Sylvia Pankhurst, femminista e socialista, nel suo giornale New Times and Ethiopia News, che denunciava le atrocità italiane in Etiopia di fronte all’opinione pubblica internazionale.

UN CAPITOLO INTERO è infine dedicato a studiare come il cinema italiano post-1945 e come la letteratura critica relativa al pensiero del «Terzo mondo» hanno recepito e rielaborato il tema della resistenza anticoloniale: dalla Battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo ai Dannati della terra (1969) di Valentino Orsini, documentando l’impegno politico dei protagonisti della resistenza italiana nei confronti delle lotte anti-imperialiste di quegli anni. In particolare, esplora i libri di testimonianza di Giovanni Pirelli, ex-partigiano e curatore di un classico testo della resistenza, Condannati a morte della resistenza italiana; Srivastava ricorda che si dedicò alla resistenza algerina contro l’occupazione coloniale francese, diventò amico di Frantz Fanon e pubblicò lettere e testimonianze degli algerini in lotta. Quest’ultima parte del libro sviluppa l’idea dell’estetica della resistenza (resistance aesthetics) di film e testi letterari italiani e li relaziona al loro spirito anticoloniale, un’interpretazione della cultura di sinistra del dopoguerra in chiave internazionalista.