«Sarebbe sleale delineare programmi inattuabili. Cercheremo di affrontare i problemi più urgenti» dice in premessa la ministra Marta Cartabia. E poi tiene impegnata per quattro ore la commissione giustizia della camera tra relazione, domande e replica. Perché, anche restando sull’essenziale, le urgenze della giustizia sono tali – dal processo civile a quello penale, dalle carceri al Csm, dai concorsi agli impegni nel Recovery plan – da portare il tema comunque in cima all’agenda di governo. Ma pesa anche la personalità dell’ex presidente della Corte costituzionale, che si presenta in parlamento con parole di miele per i deputati – «la mia formazione e la mia storia mi rendono particolarmente sensibile ad una corretta impostazione dei rapporti tra governo e parlamento, troppo spesso piegata alle ragioni dell’urgenza e alle difficoltà politiche» – ma poi risponde sostanzialmente di no alla principale richiesta della sua vasta coalizione. Non ci sarà il coinvolgimento preventivo dei gruppi parlamentari di maggioranza nel lavoro dei tecnici incaricati di preparare gli emendamenti ai disegni di legge delega di riforma del processo civile (incardinato al senato) e di riforma del processo penale (alla camera). Eppure quello è il vero nodo politico che deve affrontare l’esecutivo, perché situato all’incrocio tra l’eredità giallo-rossa di Bonafede, autore dei testi in discussione, e la richiesta di discontinuità che soprattutto Lega, Forza Italia e renziani avanzano insistentemente.

Sulla prescrizione, per esempio, Cartabia ha elogiato il passo indietro di Iv e centrodestra che hanno congelato i loro emendamenti al Milleproroghe. E subito dopo, offrendo indizi su come intende muoversi, ha indicato due modelli alternativi – quello della prescrizione processuale e quello degli sconti di pena nel caso di processi eccessivamente lunghi – che tutti e due smonterebbero il modello costruito da Bonafede, difeso adesso dai 5 Stelle e (meno) da Pd e Leu.
Il gruppo di lavoro più delicato, quello sul processo penale, Cartabia lo ha affidato al (suo) ex presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi. Con lui, presidente, ci sono due vice, l’ex primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo e il professore di diritto penale Gian Luigi Gatta appena entrato tra i consiglieri della ministra. Nella commissione anche avvocati (Manes, Luparia Donati, Arata), magistrati (Rossi, Sabelli, Citterio, D’Arcangelo) e accademici (Mannozzi, Quattrocolo, Gialuz, Simoncini). Nessun politico. Mentre il gruppo di lavoro sul civile è presieduto da Francesco Paolo Luiso.

«Sono arrivata con venti pagine di intervento, me ne vado con più di venti pagine di appunti», ha detto la ministra ai parlamentari. Risponderà più avanti. Qualcosa ha già detto. «Non si deve rinunciare al lavoro già svolto», la premessa che rassicura un po’ i grillini: i testi di legge base restano quelli di Bonafede. Ma anche se, promette, «gli emendamenti del governo non arriveranno già confezionati», a conoscerli potranno essere al più i presidenti delle commissioni. Il tempo è poco, «non avevo calcolato pasqua», i nuovi testi devono arrivare entro fine aprile e la ministra non intende aprire un tira e molla tra le – assai distanti posizioni – della maggioranza. Ci penseranno i tecnici, che – viene assicurato – sentiranno avvocati e magistrati. Altri tecnici.

Per il civile, intanto, la ministra si domanda se la soluzione scelta da Bonafede che rinuncia al «rito sommario di cognizione» – «un modello funzionante» – sia la più giusta. Sul penale fa pesare la sua impostazione garantista (opposta a quella del predecessore) avvertendo che c’è ancora una direttiva europea (2016/343) sulla presunzione di innocenza che in Italia non è pienamente applicata. Direttiva che si occupa anche del diritto a presenziare ai processi nei procedimenti penali. Tema quanto mai attuale in tempi di Covid e udienze online. «Sono convinta che ci siano momenti del processo che devono essere al più presto riportati in presenza», chiarisce la Guardasigilli per la gioia degli avvocati penalisti.

Per avvicinarsi all’obiettivo di una diminuzione dei processi, e dunque dei tempi dei processi, Cartabia indica la via della «deflazione sostanziale». E spinge sulla «giustizia riparativa». Soprattutto sull’esecuzione penale – «mia costante preoccupazione» – l’approccio è rivoluzionario rispetto a Bonafede: «La certezza della pena non è la certezza del carcere che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio». È il versante dal quale è lecito attendersi le migliori novità. Da verificare nel rapporto con la Lega, più ancora che con i 5 Stelle.