E così per il momento il decreto sull’articolo 18, minacciato dal premier Matteo Renzi due giorni fa, non si farà. Ma ovviamente non si esclude, e resta come una spada di Damocle sui lavori del Parlamento: infatti ieri nella maggioranza si è raggiunto l’accordo su un emendamento all’articolo 4 del Jobs Act, che il governo ha presentato, attendendo adesso che la delega venga approvata al più presto. Saranno poi i decreti delegati, decisi dall’esecutivo e su cui le commissioni parlamentari potranno esprimere solo parere consultivo (e niente voto in Aula), a riformare non solo l’articolo 18, ma l’intero Statuto dei lavoratori, ad esempio su demansionamento e videosorveglianza. Un colpo di mano di Renzi, che in pratica così ottiene carta bianca.

Infatti, purtroppo, la delega che otterrà il governo non è scritta con dei paletti tali da escludere che venga eliminato il reintegro, e non a caso Maurizio Sacconi (Ncd) gongola, mentre esponenti critici del Pd, come Stefano Fassina e Cesare Damiano, con grande difficoltà tengono le posizioni di difensiva. Così come è scritto, l’emendamento è una vittoria di Sacconi, Pietro Ichino e della parte renziana del Pd (la sua maggioranza), che all’articolo 18 – si è ormai capito – non tiene affatto: per le nuove assunzioni» viene previsto «il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio», recita il testo.

Una formula aperta a tutte le interpretazioni, come si vede, che potrebbe conservare l’articolo 18 (con la reintegra) in fondo al contratto di 3 anni, ma che potrebbe benissimo anche leggere quel «tutele crescenti» solo come il diritto a un sempre più sostanzioso risarcimento monetario, e nulla più.

Non basta: se ne parla poco, sicuramente meno, vista l’importanza simbolica dell’articolo 18, ma il governo e gran parte della maggioranza stanno attentando ad altre fondamentali tutele del lavoro. Infatti l’emendamento prevede anche «una revisione» della disciplina dei controlli a distanza e delle mansioni, intervenendo così con la delega sugli articoli 4 e 13 dello Statuto dei lavoratori. Si va verso una «flessibilità» nelle mansioni, anche «per la tutela del posto di lavoro»: cioè il datore di lavoro ti potrà demansionare (e possibilmente ridurti salario e altri trattamenti/condizioni di lavoro, ma questo dipenderà dal testo) anziché licenziarti. Un “ricatto” che si comprende bene, visti i tempi di crisi.

Ancora: se oggi è vietato, grazie allo Statuto, puntare le telecamere sulle prestazioni di lavoro, e si possono utilizzare solo per la sicurezza degli impianti, presto il governo potrebbe decidere di dare l’ok a una sorta di “grande fratello” che controlla tanti operai-robottini.

Ecco i testi della delega: l’emendamento prevede «la revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento». E, inoltre, indica «la revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore».

Infine, è prevista l’introduzione di un «salario orario minimo» anche per i cocoprò, e l’agenzia unica per le ispezioni sul lavoro.

L’inasprimento del Jobs Act ha accelerato la reazione dei sindacati. Sia Cgil, che Cisl e Uil annunciano mobilitazioni. Maurizio Landini (Fiom) si dice «pronto allo sciopero», Luigi Angeletti (Uil) e Susanna Camusso (Cgil) non lo escludono. E Camusso aggiunge che l’eliminazione dell’articolo 18 «è uno scalpo per i falchi della Ue».

Falchi Ue? Ieri il super commissario rigorista, Jyrki Katainen non ha parlato, ma ha fatto esporre il suo portavoce: «La mancanza di flessibilità nel mercato del lavoro italiano è uno dei punti critici che abbiamo più volte sottolineato».

Insomma, si continui su questa strada. E nella maggioranza a questo punto si scatena la guerra sulla scrittura dei futuri decreti delegati. Sacconi è certo sull’interpretazione della delega: «Per i neo assunti non ci sarà reintegro, ma un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio». «Interpretazione di bandiera della destra», lo boccia subito Cesare Damiano: «Secondo noi alla fine del percorso si deve maturare il diritto al reintegro».

Dal Pd, infine, si leva la voce di Sergio Cofferati, eurodeputato ed ex segretario della Cgil, che portò 3 milioni di persone in piazza il 23 marzo 2002, proprio in difesa dell’articolo 18 contro l’attacco sferrato dal governo Berlusconi: «La cancellazione del reintegro in caso di licenziamento discriminatorio è un grave errore politico – ha detto – Spero ci sia un ripensamento del governo e nel partito».