«Quaderni di Cinema Sud» è una preziosa rivista di cultura cinematografica, fondata da Camillo Marino, che Paolo Speranza sta tenendo in piedi con convinzione e intraprendenza, avendola trasformata inoltre in un’associazione culturale che si occupa anche di pubblicare diversi libri, scritti da giovani studiosi o da vecchie volpi storiografiche, sui più vari soggetti, da Massimo Troisi a Dante Alighieri, Rocco Scotellaro, al meridionalismo di PierPaolo Pasolini, o l’operaismo degli scrittori irpini, a Francesco Rosi, alla pioniera Elvira Notari e così via.

Tra le pubblicazioni di questa associazione l’utilissimo Napoli Calibro 35mm. Dal cinema delle origini a Gomorra a cura di Paolo Spagnuolo e Paolo Speranza, un’antologia di saggi che riflette sulla complessa e contraddittoria immagine cinematografica della città, offrendo in merito interviste e materiali sconosciuti, accuratamente ricercati. Si legge nell’introduzione: «In molti film su Napoli, da quelli più memorabili alle produzioni regionali, la tensione realistica ed engagé convive con gli stereotipi, la suspence si stempera in un sottofondo comico, lo sguardo truce di killer spietati si alterna con il sorriso bonario delle maschere del popolino (in nessun’altra filmografia del mondo i caratteristi hanno il rilievo e la popolarità di quelli napoletani) sublimando quella predisposizione al melodramma che il mondo riconosce come prerogativa caratterizzante e insuperabile del popolo e della cultura italiana».

In effetti quella del cinema napoletano è una storia gloriosa, essendo stato in Italia il primo a nascere con un suo marchio dop, già nel 1886. Siccome la macchina da proiezione era allora anche cinepresa, gli operatori Lumière, arruolati sul posto, nel loro programma al Salone Margherita hanno proposto infatti ‘O pazzariello d’a Pignasecca e Tarantella sorrentina. Il titolo in dialetto funge da richiamo immediato a un immaginario folclorico, che si rifà a un pre-esistente gusto pittoresco, sviluppatosi quando Napoli era una tappa obbligata del Grand Tour. Questo ruolo turistico/culturale di Napoli di antica data non va dimenticato perché è lo sfondo inevitabile per la disturbante associazione di certi tratti della cultura meridionale con «i diavoli in Paradiso», gli irrequieti napoletani, che rimanda alla mappa immaginaria in cui la metropoli campana da allora è diventata la linea di confine tra l’Europa e l’Africa, con il pregiudizio conseguente. Pregiudizio che riverbera appunto sulla storia di questo cinema, condannato dalla storiografia del nostro paese, borghese e antimeridionalista, a essere vista come marginale, localistica, popolare, quasi che il termine stesso fosse un insulto. Come se la canzone napoletana, Pino Daniele, Eduardo, i De Filippo, Totò, Troisi ecc. non fossero arte.

Questo volume, dunque, corregge questa stortura che si conferma fortemente radicata nella mentalità nazionale, come le polemiche sanremesi ben dimostrano, in contrasto con la vitalità di questo cinema, che si esplica oggi nel successo delle serie prodotte in città con i vari Ricciardi, i poliziotti di Pizzofalcone, Mina Settembre e soprattutto Mare fuori e il ritorno a casa di Sorrentino con La mano di Dio, e poi Leonardo Di Costanzo, Agostino Ferrente, Francesco Patierno, Edoardo De Angelis, Pietro Marcello, Marco D’Amore, e così via.

Questo prezioso volume, che ha la prefazione di Steve Della Casa, offre una gran quantità di nuove informazioni e storicizza alcune esperienze, a partire dalla rappresentazione della camorra e dei guappi, «dall’eterno problema dei rifiuti alla Napoli buia e abbandonata delle periferie, dalla cultura della prepotenza alla mentalità maschilista tipica della malavita, e perfino a quella ricerca di uno status estetico (basato sull’ostentazione della ricchezza e di un’eleganza ’moderna’) che oggi fa parlare di un vero e proprio Gomorra Style, anche sulle copertine di eleganti riviste di moda, alimentato dal successo internazionale del film e della serie televisiva» scrive Paolo Speranza.

Prodromi cinematografici i film di Elvira Notari, sceneggiatrice-regista-produttrice del cinema muto, che nelle sue sceneggiate non disdegnava il racconto dei feuilleton di malavita, film esportati anche negli Stati Uniti e censurati con la scusa del dialetto (è un vezzo ricorrente) in realtà per il loro realismo, dal Fascismo, che fece in pratica fallire la Dora Film, la casa di produzione della regista. In particolare Simona Frasca tratta della Notari per articolare l’importante relazione tra canzone napoletana e cinema, attiva fin dal muto, quando i film diretti dalla marescialla donna Elvira venivano proiettati con i cantanti a interpretare, dal vivo accanto allo schermo, la canzone drammatica tema del film e la sceneggiata nasceva al cinema prima ancora che in teatro.

Ricostruendo le vicende di questo filone malavitoso, si incontrano testi diversi, dalle varie versioni cinematografiche del processo Cuocolo, il primo processo alla camorra, fino alle recenti contaminazioni tra fiction e cronaca. «Ma è la realtà di Napoli, non la sua rappresentazione, a essere terribile, ha rilevato giustamente Maurizio Braucci, operatore culturale nei quartieri e sceneggiatore di Gomorra e de La paranza dei bambini. L’analisi procede attraverso il cinema di impegno civile di Luigi Zampa (Processo alla città), di film come Il re di Poggioreale, ovvero don Peppino Navarra, un guappo diventato traffichino, amico del re di maggio e delle autorità americane che occupavano la città dopo la guerra, che riportò in città il tesoro di San Gennaro e che sedeva letteralmente su un trono quando ascoltava le suppliche della gente. Già Pinelli e Fellini avevano cercato di fare un film su di lui, ma è stato a partire da una sceneggiatura di John Fante che Duilio Coletti ha realizzato il film omonimo, con Ernest Borgnine, prodotto da De Laurentiis nel 1961.

Le scoperte continuano con la coproduzione italo-francese de Lo sgarro (Silvio Siano, 1962), sulla ribellione contro la camorra rurale, e con una nuova lettura de Le mani sulla città (Rosi, 1963) sul malaffare nella Napoli di Lauro, film che riporta l’interessante avvertenza «I personaggi e i fatti narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce», e ancora Camorra e I Guappi dello scomodo Pasquale Squitieri con una Malanapoli immersa nel melodramma.

Oltre a questo aspetto il volume racconta anche la Napoli violenta (Umberto Lenzi, 1976) degli anni di piombo, i poliziotteschi e i film di Mario Bianchi e di Michele Massimo Tarantini, nipote di Gennaro Righelli, che racconta anche i retroscena dell’attività dei servizi segreti all’epoca, e ancora la riflessione sulla sceneggiata cinematografica con Mario Merola o su Il camorrista (Giuseppe Tornatore, 1984) tratto dal libro di Giuseppe Marrazzo sul boss Raffaele Cutolo, e così via.

Il libro dedica inoltre un capitolo anche a Antonio Capuano, regista mitico di Paolo Sorrentino, con Luna rossa e le donne della camorra rivisitate attraverso il mito di Clitemnestra, emblema della vendetta, mito che affabula la trasformazione di una giustizia sovraumana in una giustizia umana, gestibile dalla comunità politica e sociale, analizzando la camorra non attraverso l’azione, ma attraverso il sentire corporeo, materia tipica del melodramma.

Parla di donne in un certo senso anche Pater Familias, debutto di Francesco Patierno con la sua famiglia disfunzionale immersa in codici d’onore atavici distorti. L’antologia infatti fa spazio ad altri autori nuovi come Agostino Ferrente (regista del premiato documentario Selfie, due adolescenti in motorino con il loro immancabile cellulare), il tutto attraverso interviste e studi testuali o storici approfonditi. Non poteva mancare un’attenta disanima di Gomorra, inclusa l’interessante intervista con Maurizio Braucci, un capitolo è dedicato poi a Fortapasc di Marco Risi, ovvero la storia di Giancarlo Siani, e in una sezione sugli scugnizzi il documentario Robinù di Michele Santoro sul baby boss di Forcella e vari film che trattano di ragazzini, da Proibito rubare di Comencini (1948) e dalla sua inchiesta televisiva I bambini e noi.

La Napoli solare si vede poco, forse perché abbondantemente proposta in tv, o perché si preferisce rivisitare piuttosto l’immagine noir e/realistica, per staccarla dai relativi pregiudizi allo scopo di storicizzarla. Un tocco più lieve comunque emerge raccontando dello spettacolare e visivamente ipnotico Lo cunto de li cunti, che Matteo Garrone ha tratto dalla raccolta di Giambattista Basile, o del film ispirato a La gatta Cenerentola di De Simone fino alle commedie criminali quali Operazione San Gennaro di Dino Risi, contaminazione tra commedia e noir, con pochi stereotipi locali proposti però senza spocchia e malviventi che non sono né «affiliati» né violenti, fino ai titoli recenti dei Manetti Bros con Song’e Napule e Ammore e malavita, soggetto dell’attore e interprete Giampaolo Morelli con la presenza di Raiz che si dimostra attore prima di Mare fuori, intervistando i famosi fratelli. La questione meridionale è sempre aperta, si sa, ma la continua mancanza di rispetto per la cultura napoletana (e meridionale in genere) al più confinata nel pittoresco, non è che un tratto di una cultura ufficiale che non solo non legge i libri che premia ma disconosce sistematicamente competenze, storia e lavoro intellettuale.