Carol Adams, dentro l’oppressione dei «referenti assenti»
ITINERARI CRITICI Una intervista all’attivista statunitense sul volume «Carne da macello». «The Sexual Politics of Meat», testo capitale dell'ecofemminismo e dell'antispecismo edito la prima volta nel 1989, arriva in Italia oggi per VandA. Il volume sarà presentato a Roma nell'ambito di Feminism il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete
ITINERARI CRITICI Una intervista all’attivista statunitense sul volume «Carne da macello». «The Sexual Politics of Meat», testo capitale dell'ecofemminismo e dell'antispecismo edito la prima volta nel 1989, arriva in Italia oggi per VandA. Il volume sarà presentato a Roma nell'ambito di Feminism il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete
In un momento in cui il pensiero femminista sembra acquistare crescente visibilità nel panorama editoriale italiano, che rende finalmente – talvolta nuovamente – disponibili autrici come Donna Haraway, Monique Wittig, Valerie Solanas, non poteva mancare all’appello Carol Adams con Carne da macello. La politica sessuale della carne (comparso per la prima volta nel 1989 con il titolo di The Sexual Politics of Meat), per i tipi di VandA (pp. 360, euro 18, traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, postfazione di Barbara Balsamo e Silvia Molè).
Testo chiave dell’ecofemminismo statunitense e dell’antispecismo militante, il libro propone una critica del carnivorismo patriarcale con l’obbiettivo non soltanto di fornire un quadro dell’oppressione della vita animale, ma soprattutto di mettere in atto nuove pratiche di cura. Allieva di Mary Daly, teologa e femminista radicale autrice di Gyn/Ecology (1978), e per numerosi anni prima di dedicarsi alla scrittura attiva nelle lotte per il diritto alla casa e contro la violenza domestica, nel libro Adams ribadisce che creare alleanze significa innanzitutto lavorare trasversalmente, senza separare umani e non umani, e scardinando le gerarchie che discriminano i viventi e legittimano la subordinazione di alcuni e il privilegio di altri.
Il libro, che discute i «testi della carne» nelle diverse tradizioni, pratiche e relazioni sociali della cultura occidentale, e nelle sue espressioni verbali e visuali, insiste sull’interdipendenza fra la violenza simbolica e materiale esercitata sui corpi umani animalizzati e quella inflitta ai corpi degli animali non umani, le cui implicazioni vanno oltre la dimensione di genere: referenti assenti sono tutti quei corpi smembrati, macellati, stuprati, oggettivati che diventano, pertanto, consumabili.
In occasione della pubblicazione di Carne da macello (presentato in anteprima a Roma nell’ambito di «Feminism» il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete) abbiamo intervistato Carol Adams.
Quali sono stati i motivi che l’hanno portata a scrivere «The Sexual Politics of Meat»? Ha percepito delle resistenze dopo la pubblicazione? Quali concetti sono stati accettati e quali sono stati criticati?
Ho iniziato a riflettere sulle connessioni tra femminismo e vegetarismo nel 1974, quando studiavo teoria femminista. Un giorno, mentre stavo camminando in direzione di Harvard Square, sono stata colpita dall’idea secondo cui il mangiar carne fosse parte integrante della cultura patriarcale. Poi ci sono voluti 15 anni per definire cosa dire e come dirlo. Dopo molte revisioni, il libro è stato pubblicato nel 1989. Le prime recensioni furono molto positive. Invece quando The Sexual Politics of Meat (Tspm) uscì in Gran Bretagna nel 1990 la ricezione non fu così entusiastica. Molt* si scandalizzarono di fronte al fatto che le due questioni fossero state messe in relazione. Tuttavia molt* attivisti antispecisti furono estremamente felici. Avevano sempre pensato che ci fosse un aspetto politico nel loro modo di rispondere all’oppressione animale e il mio libro offriva loro un background teorico per le loro scelte. Penso che il più importante dei miei contributi sia la considerazione degli animali come referenti assenti. Dietro la carne vi è un’assenza: la morte dell’animale. Questo è il «referente assente», la cui funzione è di mascherare la violenza insita nel carnivorismo. Il referente assente serve a tenere la nostra «carne» separata dall’osservazione che una volta essa sia stata un animale, a impedire che qualcosa possa essere stato qualcuno. Questo meccanismo è all’opera anche in altre forme di oppressione, quali lo sfruttamento sessuale.
Più o meno nello stesso periodo in cui usciva il suo libro, Kimberlé Crenshaw parlò di «femminismo intersezionale» per attirare l’attenzione sulle connessioni tra sessismo, razzismo e classismo. Cosa l’ha spinta ad analizzare l’intersezione trascurata tra sesso/genere e specie?
Quando stavo scrivendo il libro, non vi era ancora qualcosa chiamato «teoria intersezionale». Crenshaw coniò il termine nel 1989, quando Tspm stava per essere pubblicato. Il mio libro, quindi, si fonda sull’idea di un’interconnessione tra varie forme di oppressione più che sull’analisi di Crenshaw intesa in senso stretto. Le basi di questo lavoro sono costituite dal femminismo antirazzista, in particolar quello della seconda ondata, che include il lavoro del Combahee River Collective e la sua dichiarazione del 1977, e dal mio attivismo contro la violenza domestica, il razzismo, la povertà e a favore delle/dei lavorator* migranti e delle persone diseredate. Va inoltre sottolineato che anche l’ecofemminismo nasce solo agli inizi degli anni ’70.
Sono diventata vegetariana nell’ambito della comunità femminista di Boston-Cambridge agli inizi degli anni ’70 e così ho sperimentato le connessioni tra femminismo, vegetarismo e altri movimenti progressisti. Ho iniziato a scrivere il libro per sostenere che le femministe dovessero essere vegetariane, ma poi il libro si è andato sviluppando da solo. Comunque, continuo a pensare, come allora, che il femminismo fornisca i mezzi per rendere conto dell’oppressione degli animali.
Vegetariani e vegani sono spesso etichettati come emotivi, arrabbiati, amareggiati: non pensa che questo sia un modo per banalizzare o manipolare le tematiche antispeciste, impedendo che si possa instaurare un reale dibattito?
Penso che i vegani mettano fortemente a disagio i non vegani semplicemente sedendosi a tavola. Ricordiamo che ognuno ha la possibilità di scegliere e che i non vegani hanno deciso di continuare a mangiare gli animali, il loro latte e le loro uova. La nostra scelta ricorda loro che hanno preso una decisione, che hanno deciso di non cambiare. Ho scritto Living Among Meat Eaters, un libro che tenta di aiutare vegani e vegetariani a capire perché i carnivori siano così spesso emotivi, arrabbiati e amareggiati. In un certo senso, non serve fornire argomenti contro l’utilizzo degli animali; i non vegani hanno già pensato a quello che fanno e, per conservatorismo che spesso ha a che fare con l’egoismo («Non posso rinunciare al mio hamburger», «Adoro il formaggio»), hanno deciso di non cambiare.
Quando si arrabbiano perché noi abbiamo deciso di cambiare stanno cercando di distogliere l’attenzione dalla loro decisione di non cambiare. Teoria critica? I non vegani cercano di evitarla il più possibile perché metterebbe a nudo la debolezza degli argomenti a favore del consumo di carne, uova e latte. E, naturalmente, esiste il mito secondo cui noi vegani ci staremmo affamando e che non mangeremmo cibo meraviglioso, quando in realtà il nostro cibo è delizioso.
Considero i non vegani come vegani bloccati. Soprattutto negli ultimi anni, dato il ruolo giocato dagli allevamenti nei cambiamenti climatici in atto, è comprensibile che i non vegani cerchino di spostare l’attenzione sui vegani. Quando The Sexual Politics of Meat venne pubblicato alcune femministe dichiararono che non lo avrebbero letto perché temevano di diventare vegetariane. Fu allora che pensai: «Che ironia. Il femminismo viene evitato perché potrebbe sollecitare un cambiamento. Ma che cosa sta alla base del pensiero femminista se non il cambiamento?».
Ci sono voluti 30 anni per tradurre il suo volume in italiano, ora «Carne da macello». C’è qualcosa che cambierebbe o a cui darebbe un’enfasi differente? Che rilevanza assume il suo discorso nell’«era Trump»?
Purtroppo, la cultura dominante fa sì che quel testo mantenga la sua importanza. Gli esempi utilizzati potrebbero essere diversi, ma non il fatto che si stia discutendo di opinioni e strutture dominanti che sono ancora le stesse. Inoltre, così tante persone hanno affermato che il libro ha cambiato la loro vita che ho ritenuto non fosse necessario «aggiustarlo». Sembra che stia funzionando come speravo che facesse. Sì, ho aggiunto una prefazione e una postfazione, ma non ho inserito nuovi capitoli e neppure ho apportato modifiche sostanziali. Al contrario, sto aggiornando The Pornography of Meat (sarà ripubblicato in ottobre), soprattutto per quanto riguarda le immagini (345 saranno nuove!), e sto aggiungendo considerazioni sul movimento #MeToo, sulla retorica delle destre a favore del mangiare carne e latticini con lo scopo di promuovere la supremazia bianca, sull’associazione tra animalità e razza, su come il binarismo di genere sia rafforzato dalle politiche sessuali della carne e sul linguaggio del presidente Trump, lo sfruttatore-sessuale-in-capo. Le immagini più recenti utilizzate per rappresentare le politiche sessuali del carnivorismo riflettono questi sviluppi e pertanto c’è spazio per un profondo aggiornamento di un libro iconografico.
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