C’è applauso e applauso. Sergio Mattarella ne riceve 52 durante il suo discorso al parlamento e ai delegati regionali, comprese alcune standing ovation. Mario Draghi e Pierferdinando Casini, i due mancati presidenti, un applauso a testa quando entrano nell’aula. Ma quello per Draghi è freddo e veloce, quasi obbligato, quello per Casini convinto e sostenuto, quasi affettuoso, e parte naturalmente dallo spicchio centrale.
Nell’aula vestita a festa come i colori nazionali (comunque più sobria della senatrice Rizzotti di Forza Italia che tricolori ha la veste e le scarpe), Mattarella sta tra Fico e (ahilei) Casellati, al centro del palco della presidenza. Sotto di lui c’è Draghi, centrale nei banchi del governo, di fronte a loro più in basso sta seduto, anche lui esattamente al centro, Casini.

Sistemato nel posto d’onore del primo banco, il mancato presidente carica il body language: più disinvolto e sportivo non potrebbe essere. Vuole dirci che non se l’è presa e, anzi, sta qui a fare il primo tifoso, chiamando gli applausi per il presidente confermato: applauso commosso e trattenuto quando ci sono gli omaggi alle vittime, applauso serio e composto ad altezza petto quando la citazione è per le Forze armate e i medici, applauso entusiasta e vibrante con le mani davanti al viso per evidenziare particolare condivisione, tutti in piedi nei passaggi eccezionali. Che sono molti.

IL PRIMO quando il presidente aggiunge a braccio tre parole al testo scritto del discorso. «Sono stati giorni travagliati per tutti, anche per me» dice, dopo aver reso omaggio al voto del parlamento che lo ha mantenuto al Quirinale. «La consapevolezza che il prolungarsi dell’incertezza avrebbe messo a rischio il rilancio del paese è la stessa ragione del mio sì e sarà al centro del mio impegno per il nuovo mandato». Dovuto e limitato è l’omaggio al governo Draghi: «Nato nel pieno dell’emergenza e ora proiettato a superarla, ponendo le basi di una nuova stagione di crescita». La missione, insomma, resta quella: il superamento dell’emergenza. Niente affatto compiuta, come invece aveva fatto capire Draghi quando ha provato a mettersi «a disposizione», invano. La maggioranza comunque applaude, si applaudono anche i ministri.

ALLA DESTRA di Draghi c’è Di Maio e alla destra di Di Maio c’è Cartabia. Alla giustizia Mattarella dedica il capitolo più lungo del suo discorso. Il più puntuale, anche se l’incipit di questa parte sembra rituale: «Nell’inviare un saluto alle nostre magistrature…». È un saluto parecchio urticante: occorre «un profondo processo riformatore». Per il presidente per troppo tempo la giustizia «è divenuta un terreno di scontro» e questo «ha fatto perdere di vista gli interessi della collettività». Riportarli al centro significa che «i cittadini devono poter nutrire fiducia e non diffidenza verso l’ordine giudiziario» e «non devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili».

Oggi, secondo il presidente, questa fiducia non c’è e dunque la magistratura deve «recuperare un profondo rigore» e nel Csm «superare logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee». La via d’uscita secondo il capo dello stato è la riforma del Consiglio superiore che però è ferma al palo. «È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento». Quando sarà, «la magistratura e l’avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi». L’aula applaude cinque volte questa parte del discorso, una volta alzandosi in piedi. Applaude anche la ministra Cartabia.

NON PER NIENTE il presidente della Repubblica è anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura. Curiosamente, il primo mandato di Mattarella cominciò proprio con una seduta del Csm che servì a nominare il primo presidente della Cassazione e si è concluso pochi giorni fa con un’altra seduta straordinaria del Consiglio, stavolta per confermare la nomina di un nuovo presidente della Cassazione, temporaneamente disarcionato dal Consiglio di Stato. Ma Mattarella è anche un ex giudice costituzionale e un ex professore di diritto parlamentare.
In quaranta minuti, al limite della durata consentita dalle norme Covid, Mattarella insiste sulle disuguaglianze, sul principio costituzionale di dignità, sulla voce degli studenti «da ascoltare», contro la precarietà del lavoro e contro razzismo e antisemitismo. Ma dopo la giustizia, il secondo argomento che mette è il ruolo del parlamento.

SI PUÒ LEGGERE come un’attenzione ricambiata. Il secondo mandato del presidente è nato nel voto segreto dei parlamentari (e dei delegati regionali) assai prima che nelle strategie dei capi partito. Mattarella ha voluto riconoscere la natura pienamente parlamentare della rielezione, ricevendo al Quirinale i capigruppo e non i leader politici per comunicare che sì, sarebbe rimasto. Parlando nell’aula di Montecitorio dopo il giuramento, Mattarella non fa alcun cenno alla sua precedente e ripetuta (e superata) ferma contrarietà alla rielezione. Né entra nel merito delle riforme costituzionali. «Non compete a me indicare percorsi riformatori da seguire», dice (ma in questo stesso giorno sette anni fa aveva benedetto la riforma costituzionale Renzi, che poi sarebbe stata cancellata nel referendum, e aveva chiesto una nuova legge elettorale). Però riporta la chiesa al centro del villaggio e nelle istituzioni italiane la chiesa è il parlamento. «La sfida per la salvaguardia della democrazia dipenderà in primo luogo dalla forza del parlamento … il suo ruolo è cruciale come luogo della partecipazione».

NON È UN DISCORSO teorico, perché Mattarella aggiunge che «sugli atti fondamentali di governo il parlamento deve essere sempre posto in condizione di poterli esaminare e valutare con tempi adeguati». Il riferimento è innanzitutto alla legge di bilancio, che quest’anno, di più e peggio che negli anni scorsi, il parlamento si è vista passare sotto al naso, tra le proteste non soltanto dell’opposizione. La condanna di Mattarella, che pure ha promulgato la legge visto che l’alternativa sarebbe stato l’esercizio provvisorio, è adesso fortissima: «La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi». Il richiamo al governo , al suo governo «del presidente», è in questo passaggio molto netto, anche al di là della legge di bilancio. Riguarda anche la pioggia di decreti e dpcm per la gestione dell’emergenza: «Appare necessario un ricorso ordinato alle diverse fonti normative, rispettoso dei limiti posti dalla Costituzione».

NON CHE IL PARLAMENTO e i partiti possano fischiettare. «La qualità stessa e il prestigio della rappresentanza dipendono dalla capacità dei partiti di favorire la partecipazione», dice il presidente, «senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso». Il cittadino, in sintesi, «deve poter far affidamento sulla politica come modalità civile per esprimere le proprie idee e la propria appartenenza alla Repubblica». Oggi non è così e con queste parole Mattarella dà sostanza alla confusa voglia di protagonismo che i partiti stanno recuperando, più a causa che attraverso la modalità di rielezione di Mattarella. Questa voglia ha già uno sbocco, anche questo ancora contraddittorio: una nuova legge elettorale. Per la quale nel discorso del presidente c’è giusto un accenno, in codice: «Il parlamento ha davanti a sé un compito di grande importanza perché, attraverso nuove regole, può favorire una stagione di partecipazione».