Si è scritto e detto molto sulle morti eccellenti nel rock. Si è parlato della maledizione del ventisettesimo anno che si è portato con sé alcuni dei nomi più importanti, proprio all’apice del loro successo e della loro creatività, e si è raccontato di dipartite, più o meno tragiche, di altri. Mentre molte sono passate in secondo piano, anche se i personaggi in questione, spesso, non avevano nulla da invidiare in quanto a estro, ai più celebrati «miti».

Per ricordare questi sfortunati signori e signore del pop, non sono mancate canzoni scritte all’uopo dai loro «bandmate», ossia dai membri dei gruppi in cui militavano, brani che a voler essere un po’ maligni, a volte sono sembrati più che «sentiti» o «doverosi» solo un rapido veicolo per un successo annunciato. Ma altre volte sono stati un vero tributo e un amorevole ricordo di un amico e compagno di viaggio e di avventure che non c’è più e del quale la mancanza si fa sentire. In queste pagine proviamo a ricordare alcuni di questi artisti scomparsi prematuramente attraverso le canzoni a loro dedicate, senza seguire ordini, cronologici, di gusto personale o di fama.

Come è noto gli Who hanno perduto, negli anni, due dei quattro membri originali. Il primo ad andarsene fu Keith Moon, batterista grande tanto quanto folle e eccessivo in ogni suo aspetto. Dopo qualche anno, nel 2002, il bassista John Entwistle, noto per il suo amore per il vino rosso (e non solo), morì nella stanza di un albergo di Las Vegas stroncato, pare, da un’overdose di cocaina. A lui Roger Daltrey e Pete Townshend, i superstiti della prima formazione, due anni dopo dedicarono un brano dal titolo chiaramente allusivo alla sua passione enologica, Old Red Wine, canzone che si chiude con un refrain, «let it breathe (fallo respirare)», un invito esplicito a far prendere ossigeno al vino, in attesa di un ricongiungimento nell’aldilà dove un giorno lo potranno di nuovo gustare insieme.

La droga è una delle cause di decesso maggiormente «gettonate» tra i musicisti. Un altro caduto tra le spire mortali della dipendenza fu Gram Parsons. Ex membro di Byrds prima e Flying Burrito Brothers poi, Parsons, il cui vero nome era Cecil Ingram Connor III, è considerato ancora oggi uno dei più influenti musicisti country rock. La morte, per abuso di droghe, lo prese nel 1973, in California, quando ormai da un paio d’anni aveva instaurato un rapporto professionale e affettivo con la cantautrice statunitense Emmylou Harris. Fu lei a ricordare e mettere in risalto la prematura scomparsa qualche tempo dopo (nel 1975) con la canzone Boulder to Birmingham: «Camminerei senza sosta da Boulder a Birmingham, se pensassi di poter vedere di nuovo il suo viso».

Jason Thirsk, bassista della punk band californiana Pennywise, nel 1997 scrisse un brano, Bro Hymn (Tribute), per ricordare la scomparsa di tre suoi amici morti in un incidente stradale, brano che appare sul loro disco d’esordio omonimo. Cinque anni più tardi, all’apice del loro successo commerciale, Thirsk si suicidò, e il gruppo registrò una nuova versione del pezzo rivedendone in parte il testo: «Jason Matthew Thirsk, this one’s for you» (Jason Matthew Thirsk, questa è per te).

Sempre a proposito di canzoni nate con un proposito e alle quali venne poi modificato il senso a causa della scomparsa di qualcuno non si può non ricordare il successo dei Pretenders Back on a Chain Gang, uscito come singolo nel 1982 e poi apparso sul terzo album della band inglese, Learning to Crawl. I Pretenders registrarono tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta due album (comunente conosciuti come Pretenders I e II) con una formazione che vedeva, oltre alla leader e cantante/chitarrista Chrissie Hynde, il batterista Martin Chambers, il chitarrista James Honeyman-Scott e il bassista Pete Farndon, ma poco dopo l’uscita del secondo lavoro gli ultimi due membri persero la vita. Il primo fu stroncato da un attacco di cuore dovuto a un’overdose da stupefacenti, appena due giorni dopo che Chrissie Hynde aveva dato il benservito all’amico e bassista Pete Farndon, il quale fu trovato qualche mese dopo in una vasca da bagno, annegato dopo aver assunto eroina. Ma se per la scomparsa di Farndon gli strascichi furono solo legali e di accuse reciproche tra la madre del bassista e la cantante di origini americane, a Honeyman-Scott la stessa Hynde decise di dedicare il brano in questione, brano in origine composto per il suo ex compagno di vita – e padre di uno dei suoi figli -, il frontman dei Kinks Ray Davies.

Non sono mai stati nella stessa band, ma il loro rapporto andava oltre quello strettamente professionale. Legato da una forte amicizia a Notorious B.I.G., Sean Combs, in arte conosciuto come Puff Daddy, P. Diddy ecc., quando, nel 1997, il mastodontico rapper fu ucciso a colpi di pistola, decise di trasformare un celeberrimo successo dei Police, Every Breath You Take, in un omaggio all’amico. Il brano, intitolato I’ll Be Missing You e che vedeva anche la presenza vocale della vedova di Notorious, Faith Evans, fu a sua volta un grandissimo successo ed è tutt’oggi uno dei singoli più venduti di tutti i tempi.

Quando la morte colpì John Lennon, e molti anni dopo George Harrison, i Beatles erano ormai solo un ricordo, bellissimo a volte, altre molto, troppo, doloroso per i quattro ragazzi del Merseyside, e canzoni da dedicare ai vecchi compagni come band in sé non erano più possibili. Ma le carriere dei singoli sono andate avanti per anni e non ci volle molto perché prima Harrison e poi Paul McCartney omaggiassero il ricordo e la figura di Lennon dopo il suo omicidio davanti alla sua residenza al Central Park di New York. George Harrison fu il più solerte, riadattando le liriche di un suo pezzo registrato nel novembre del 1980, pochi giorni prima del tragico evento. Il brano, All Those Years Ago, non è certo tra quelli che più si ricordano, ma nel testo Harrison ribadisce l’importanza nella sua vita, professionale e non, dell’amico e bandmate. Niente di epocale anche la canzone che un paio di anni dopo scrisse McCartney – presente sull’album del 1982 Tug of War – intitolata Here Today. Ringo Starr non celebrò Lennon ma volle invece ricordare a suo modo George Harrison, nel 2003, con la canzone Never Without You, dall’album Ringo Rama, alla registrazione della quale partecipò un altro amico di vecchia data di Harrison (nonostante qualche problema a causa di una donna…), Eric Clapton. Nel pezzo Starr cita titoli di canzoni scritte da Harrison come All Things Must Pass o Within You, Without You e canta, con la sua inconfondibile voce, una strofa che ne fotografa bene il sentire: «La tua canzone continuerà a suonare senza di te, e il mondo non ti dimenticherà».

Dai Beatles ai Rolling Stones il passo è quasi obbligato. La morte del chitarrista Brian Jones – annegato in una piscina la notte tra il 2 e il 3 luglio 1968, stroncato anch’egli dall’abuso di droghe e alcol – fu un vero shock per tutti gli appassionati di rock, e molti artisti del tempo gli dedicarono canzoni e poesie (Jimi Hendrix, Jim Morrison dei Doors – entrambi morti come Jones a 27 anni – e Pete Townshend). E le sue Pietre Rotolanti? Nulla fino al 1972, l’anno di Exile on Main Street, album in cui appare il brano Shine a Light, originariamente scritto da Mick Jagger quando Jones era ancora in vita e poi registrato, con le liriche riviste e corrette proprio in ricordo del chitarrista scomparso, tre anni dopo: «Possa il signore far risplendere una luce su di te, e fare di ogni canzone la tua preferita».

Altra dipartita celebre è senza alcun dubbio quella avvenuta il 24 novembre 1991 in una casa del quartiere Kensington, a Londra, del cantante dei Queen, Freddie Mercury, ucciso dalle complicazioni dovute all’Aids. L’ultimo lavoro della band inglese fu Innuendo, vero e proprio canto del cigno, con Mercury ai suoi massimi nonostante già gravemente debilitato dalla malattia. I tre Queen rimasti dapprima decisero di sciogliere il gruppo ma dopo qualche tempo si ripresentarono al pubblico con un nuovo lavoro, Made in Heaven, che comprendeva brani registrati quando Mercury era ancora in vita, e che in copertina portava la dicitura «Dedicated to the immortal spirit of Freddie Mercury», per chiudere di nuovo l’esperienza Queen subito dopo. Ma nel 1998, in occasione dell’uscita della raccolta Queen Rocks, pubblicarono No-One but You (Only the Good Die Young), brano dedicato tanto al loro frontman quanto alla principessa Diana, da poco scomparsa nel tragico incidente parigino. Per molti anni è rimasto l’unico pezzo scritto dai Queen superstiti dopo la morte di Mercury; almeno fino alla discutibile reunion voluta da Brian May e Roger Taylor (ma non da John Deacon) con Paul Rodgers (ex Free e Bad Company) alla voce.

Ci sono tributi poi che coinvolgono addirittura lo stesso artista a cui sono dedicati. È il caso ad esempio di Eric Carr, batterista della rock band americana Kiss dal 1980, anno in cui Peter Criss lasciò il gruppo, fino al 1991, anno della sua morte avvenuta per un tumore al cuore. God Gave Rock and Roll to You fu scritta dagli inglesi Argent ma Gene Simmons e Paul Stanley, bassista e chitarrista/cantante dei Kiss, la fecero loro, con il titolo God Gave Rock and Roll to You II, proprio come reazione alla malattia, e successivamente alla scomparsa, che aveva colpito il loro compagno. La cosa che rende singolare il brano come tribute song è il fatto che lo stesso Carr (vero nome Paul Charles Caravello) partecipò alle registrazioni come backing vocalist, giacché troppo debilitato per potersi sedere dietro ai suoi tamburi, e in particolare lo si può ascoltare cantare la frase «to everyone, he gave his song to be sung» (ha dato la sua canzone per essere cantata, da tutti).

I Red Hot Chili Peppers sono noti, oltre che per il loro stile musicale, anche per essere un band sempre ai limiti dell’eccesso. E certamente il cantante Anthony Kiedis e il chitarrista John Frusciante hanno contribuito non poco a questa fama, con i loro problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti, in particolare di eroina. E fu proprio l’eroina a portarsi via il primo chitarrista della formazione californiana, Hillel Slovak, nel giugno del 1988, a soli 26 anni. A lui Kiedis e compagni hanno dedicato un paio di canzoni nel corso degli anni, ma qualcuno asserisce che i brani siano in realtà tre, e che proprio il terzo – e ultimo in ordine di tempo – sia il vero tributo alla figura di Slovak. Per la cronaca i pezzi in questione sono, in rigoroso ordine cronologico, Knock Me Down, dall’album Mother’s Milk del 1989, My Lovely Man da Blood Sugar Sex Magik (1991) e il discusso Dosed, da By the Way (2002).

Uno dei più ispirati artisti della scena punk anni Ottanta americana D. Boon, chitarrista e frontman dei Minutemen, morì nel 1985 a causa di un incidente stradale, lasciando in eredità liriche intense e poetiche. Il bassista di quella band era Mike Watt, che qualche anno più tardi intraprese una buona carriera solista. Nel 1997 sul suo album Contemplating the Engine Room, Watt registra il brano The Boilerman, un’ode dedicata al suo amico fraterno Boon, del quale ricorda, nei versi iniziali, il momento del loro primo incontro, molti anni prima, quando erano ancora dei teenager, a San Diego, California: «’Member you meetin’ me?/Jumped right out that tree/Had the carlin wired/Boy, how that spiel inspired” (Ti ricordi quando mi incontrasti?/Saltai giù da quell’albero/Fu una scossa elettrica/Ragazzo, che storia).

Artista cardine della scena di Seattle, nonché personaggio decisamente border line, Layne Staley, cantante degli Alice in Chains, ha contribuito non poco al successo di un genere, il grunge, portato in auge da band come Nirvana, Pearl Jam, Mudhoney ecc. ecc. Staley fu stroncato da un’overdose il 5 aprile 2002, anche se il corpo non fu rinvenuto fino a un paio di settimane più tardi, quando la madre, non avendo notizie del figlio, decise di avvertire le autorità. Le condizioni critiche di Staley avevano avuto effetto sul lavoro della band già dal 1996, anno in cui, anche se mai ufficialmente, gli Alice in Chains cessarono di essere un gruppo, almeno fino al 2005 quando il co-leader Jerry Cantrell riprese in mano la situazione assoldando un nuovo vocalist, William DuVall. È però solo nel 2009, nel disco Black Gives Way to Blue, che gli Alice in Chains tributeranno un omaggio allo sfortunato cantante, con liriche che lo ricordano sparse un po’ lungo l’intero lavoro e, in particolare, nella title track (che vede la presenza al pianoforte di Sir Elton John): «Lay down, black gives way to blue/Lay down, I’ll remember you» (Riposa, il nero lascia spazio al blu/Riposa, ti ricorderò).

La frase «You touch me in the darkness/I send you a sign» (Tu mi tocchi nel buio/Io ti mando un segno) è solo una parte del testo che Ian Gillan ha voluto dedicare, nel loro ultimo lavoro Now What!, al vecchio tastierista dei Deep Purple, Jon Lord, scomparso nel 2012 a causa di un tumore al pancreas. Lord aveva lasciato la band di Smoke on the Water già da molti anni, ma questo non ha impedito al cantante di scrivere le parole di Above and Beyond in onore di uno dei più grandi organisti della storia del rock.

Da qualche tempo si sono riformati anche The Replacements, seminale band alt rock statunitense i cui membri, senza eccezioni, sono noti per le loro trasgressioni in fatto di alcol. Ma uno di loro, il chitarrista Bob Stinson, raggiunse un livello tale di dipendenza (non solo dall’alcol) che fu cacciato dal gruppo nel 1986. Da lì in poi per Stenson seguì un’escalation che lo portò alla morte nel 1995. Per commemorarne in qualche modo la figura, e chissà, forse anche per un sottile senso di colpa, il frontman dei Replacements, Paul Westerberg, ha scritto e inciso, undici anni dopo, la ballata Good Day, nella quale si lancia in quello che potremmo quasi definire un possibile dialogo da film western: «Un buon giorno è ogni giorno in cui sei vivo».

Ricordate il famoso incipit di una altrettanto nota canzone di Lucio Dalla, «Caro amico ti scrivo»? Ebbene, una canzone in forma di lettera è anche quella che Tommy Shaw, cantante e chitarrista degli Styx, una delle band più eccessive e trasgressive apparse nel panorama rock americano negli anni Settanta, dedicò nel 1997 al batterista John Panozzo, morto un anno prima per una malattia dovuta all’abuso di alcol. Dear John, questo il semplicissimo titolo del brano, è un tributo a un amico di vecchia data, il cui testo, altrettanto semplice ma toccante e decisamente lontano dagli standard della band, recitava più o meno così: «Giuro che ti ho visto oggi, in mezzo alla folla, e ti ho chiamato (…) Ripenso a tutti quegli ieri, il cielo mi aiuti, come mi manchi, amico mio».

Probabilmente non molti ricorderanno Sandy Denny, ma sicuramente molti avranno ancora nella mente un nome, Fairport Convention. Denny fu, oltre che valida artista solista, la cantante della formazione inglese – tra le più influenti in ambito folk rock – dal 1968 fino al loro scioglimento, un anno dopo, giusto il tempo di registrare un paio di seminali lavori. Prima del suo ingresso nella formazione capitanata da Simon Nicol, Sandy aveva militato in un’altra band folk britannica, gli Strawbs, e proprio il leader del gruppo, riformatosi anni più tardi, Dave Cousins, nel 1991 dedicò un brano alla vocalist morta nell’aprile 1978 per un’emorragia cerebrale, conseguenza di una caduta dalle scale avvenuta qualche settimana prima. Il testo della canzone Ringing Down the Years recita più o meno così: «Ci siamo incontrati quando eri ancora una ragazza, nel 1968/Portavi un vestito bianco e un cappello/Fu la mia fortuna». Sandy Denny è ricordata poi anche in un brano di Kate Bush, Blow Away (For Bill) da Never for ever del 1980, dedicato al direttore delle luci dei suoi spettacoli, in cui oltre alla vocalist, vengono menzionati altri musicisti scomparsi come Sid Vicious, Minnie Riperton, Keith Moon e Buddy Holly.