Che grande artista della scena è Carlo Cecchi. Attore e capocomico nel senso più autentico di una tradizione necessaria. E dunque che piacere è tornare a vederlo ogni volta che se ne presenti l’occasione, come ora al teatro Argentina (fino al 23 dicembre) in questo divertentissimo, tragicamente comico dittico eduardiano che da qualche anno va ripresentando sui nostri palcoscenici, se ne era già giustamente parlato su queste pagine. Distanti nel tempo, i due atti unici, Dolore sotto chiave e Sik-Sik l’artefice magico, erano stati anche una delle ultime occasioni per vedere sulla scena Eduardo, per chi allora era ragazzo, all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso. Il giovanile Sik-Sik è un piccolo capolavoro che rivela il teatro del grande attore e autore napoletano allo stato nascente; mentre l’altro, successivo di una trentina d’anni, ci mette a confronto con la piega amara maturata nel dopoguerra. Tolto di mezzo il pirandellismo della situazione, che ormai poco interessa, ciò che ora risalta in Dolore sotto chiave, anche da un punto di vista drammaturgico, è soprattutto l’innesto della farsa all’interno del dramma borghese.

NEL SOGGIORNO apparecchiato che la scena di Sergio Tramonti isola al centro del palcoscenico, quasi a sottolinearne la convenzionalità, va in scena il conflitto che oppone fratello e sorella. L’uomo è assente da casa da molto tempo, per mesi lei lo ha tenuto al corrente delle condizioni della moglie immobilizzata su un letto, per scoprire ora con fracasso di urla e piatti rotti che la donna era morta da molto tempo e lei glielo aveva nascosto per timore di chissà quale gesto disperato da parte di lui. Ma ecco irrompere lì nel mezzo i vicini compassionevoli e interessati, chi a vendergli le fotografie del funerale o il progetto di un monumento funebre. Fra loro Carlo Cecchi è il vicino invadente, sempre pronto a far valere la sua esperienza di vedovo, non a caso la parte minore che anche Eduardo aveva tenuto per sé, con la straordinaria improvvisazione del momento in cui si ostina a dettare per telefono la ricetta della coratella con i carciofi, fra pause e silenzi e continue ripetizioni.
Si ride irresistibilmente ma con un groppo in gola perché è straziante l’attesa dell’altro che aspetta un’altra telefonata, per rivelare la verità alla donna di cui intanto si è innamorato ma sta per andarsene con un altro. Ed è come precipitare in un borgesiano labirinto di tempi. La possibilità di un’altra vita che scivola via come in una implacabile clessidra.

IN MANIERA quasi speculare, Sik-Sik l’artefice magico muove dalla farsa napoletana per mettere in luce la malinconia del mondo dell’arte che il giovane Eduardo coglie al suo livello più basso. Un illusionista da quattro soldi che finge un’eleganza che non ha. Il suo compare è in ritardo per lo spettacolo e lui ne assolda un altro abbastanza tonto da provocare ogni possibile equivoco. Il teatro borghese è scomparso dalla scena voluta da Titina Maselli, una tela a disegni astratti che si solleva per mostrare lo spazio in cui Sik-Sik mette in opera i suoi numeri, inevitabilmente destinati a un derisorio fallimento, sotto lo sguardo impassibile della stupenda Angelica Ippolito, già icona del teatro di Eduardo, nella fissità davvero da teatro orientale con cui ripete la mossa di scostare un lembo del kimono azzurro per mostrare la gambetta. Non è solo il fatto che dietro la commedia si nasconda la tragedia, è che quel povero mondo di finzione ci commuove. Altro che la mano di dio. Altre date dello spettacolo: dal 4 al 9 maggio al Duse di Genova; dal 20 al 23 all’Alighieri di Ravenna; dal 3 al 6 febbraio al Nuovo di Napoli e dal 5 a 6 marzo al Due di Parma.