Mentre sale a diciotto il numero dei detenuti, in diversi istituti, colpiti da Covid-19, oltre 200 quelli in quarantena, e purtroppo si devono registrare due agenti penitenziari morti dall’inizio dell’epidemia e altri risultati positivi, ieri è tornata a salire la tensione nella Casa circondariale di Civitavecchia dove i reclusi della I Sezione – stando alla denuncia dei sindacati di polizia – sembra abbiano «tentato di sequestrare» un poliziotto.

È dunque una situazione, quella delle carceri ancora talmente sovraffollate da rischiare di trasformarsi in una bomba virale, che peggiora di ora in ora, e che non può sopportare né attese né misure al contagocce. E che tali siano quelle prese dal ministro di Giustizia Alfonso Bonafede non lo dicono solo gli osservatori sui diritti dei detenuti o gli avvocati penalisti ma perfino il Consiglio superiore della magistratura che, riunito giovedì in plenum, ha approvato un parere del tutto negativo sulle misure contenute nel decreto «Cura Italia», definendole «inadeguate» a ridurre il sovraffollamento e di conseguenza a prevenire il dilagare del contagio intramurario. Il quale, naturalmente, avrebbe ripercussioni a catena su tutto il territorio italiano.

In particolar modo, l’assemblea di Palazzo dei Marescialli boccia la norma che subordina la concessione della detenzione domiciliare per i detenuti con pene residue fino a 18 mesi all’applicazione dei braccialetti elettronici, indisponibili al momento. Una presa di posizione perfino prudente. Un quarto dei magistrati, infatti, quelli appartenenti ad Area, si è astenuto perché avrebbe voluto un pressing maggiore sul governo affinché, in questa situazione drammatica, assumesse «scelte drastiche», come l’ampliamento della platea cui applicare la detenzione domiciliare.

Il modo proposto dalle toghe di Area non si discosta da quello suggerito dall’Associazione italiana dei professori di diritto penale (Aipdp) o dall’Unione delle Camere Penali che in un documento inviato ieri a governo e parlamento, pur rilevando la «posizione negazionista» del ministro Bonafede, elenca una serie di possibili interventi «più incisivi» da adottare «in sede di conversione in legge del decreto emanato»: «La detenzione domiciliare, indipendentemente dalla disponibilità del braccialetto elettronico, per residui di pena inferiori a 2 anni; la sospensione fino al 30 giugno della emissione degli ordini di carcerazione di pene fino a 4 anni divenute definitive; la liberazione anticipata speciale, di 75 giorni a semestre, per buona condotta e l’estensione da 45 a 75 giorni per i semestri già oggetto di concessione; la concessione di licenze speciali di 75 giorni ai detenuti semiliberi; per i detenuti in attesa di giudizio, che rappresentano oltre un terzo della popolazione carceraria e che sono presunti innocenti dalla Costituzione, l’attribuzione al giudice competente di un termine di 5 giorni per riesaminare la situazione cautelare in funzione della concessione degli arresti domiciliari, tenendo in considerazione il pericolo alla loro salute in rapporto alla caratteristica di extrema ratio della detenzione cautelare».

Dello stesso parere l’associazione Antigone che, insieme a Cgil, Anpi, Arci, Gruppo Abele, Ristretti, Cnvg, Diaconia Valdese, Uisp Bergamo e InOltre Alternativa Progressista, elenca misure equivalenti per far tornare nella legalità i penitenziari italiani e chiede «un piano straordinario di protezione igienico-sanitaria della polizia penitenziaria, dei direttori, degli educatori, dei cappellani, dei medici e degli infermieri che operano nelle carceri».