«Welcomed». «Benvenuti i provvedimenti presi dalle autorità governative per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario in Italia». E «benvenuta l’introduzione di un rimedio preventivo (la possibilità di presentare ricorso e ottenere giustizia direttamente dalla magistratura di sorveglianza, ndr), entro i limiti di tempo imposti dalla sentenza Torreggiani», emessa l’8 gennaio 2013 dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, dopo un summit di due giorni, ha diramato ieri mattina, tra le altre, la sua decisione sul «caso italiano», promuovendo a pieni voti «l’impegno» dimostrato e «i risultati significativi già ottenuti attraverso l’introduzione di varie misure strutturali», inclusa «l’importante e continua diminuzione della popolazione reclusa e l’aumento dello spazio vitale portato almeno a 3 metri quadri per detenuto».

Insomma, un successo per lo staff ministeriale che ha curato le riforme degli ultimi due esecutivi, in materia di Giustizia. E per il Guardasigilli Andrea Orlando che, forte anche della credibilità che si deve al primo partito d’Europa, ha convinto il Comitato a «prendere nota con interesse» della notizia di un imminente decreto legge – dovrebbe essere varato proprio questa mattina dal Consiglio dei ministri – che introduca un «rimedio compensativo» per i carcerati che hanno dovuto scontare la pena in condizioni di sovraffollamento. L’Italia però sarà ancora per un anno “osservato speciale”, e a fine giugno 2015 sarà di nuovo chiamata a dimostrare il consolidamento dei progressi fatti e l’uscita dall’emergenza carceraria.

«È il riconoscimento di un lavoro da questo governo, quello precedente, e da tutte le strutture competenti del ministero – ha commentato Orlando – ma si tratta di un punto di partenza. Avere risolto le urgenze non significa avere un sistema penitenziario all’altezza della civiltà del nostro Paese. C’è ancora molto da fare, bisogna andare avanti con le riforme in modo sistematico e complessivo». A cominciare dal decreto legge entrato nell’agenda del Cdm di questa mattina e che prevede un «rimedio compensativo» per coloro che hanno subito un trattamento di pena «inumano e degradante» in celle sovraffollate. In pratica, si tratta di uno sconto di pena per chi ancora è detenuto, e di un risarcimento economico per gli ex carcerati che dovrebbe aggirarsi, nelle intenzioni del governo Renzi, sul 40-45% della somma imposta come sanzione in questi casi dalla Corte di Strasburgo, secondo un tariffario che prevede un risarcimento di circa 20 euro al giorno per ciascun detenuto che abbia presentato ricorso.

In generale il pronunciamento del Consiglio d’Europa è stato accolto ieri da un coro di esultanza. Anche il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, parla di «importante segnale» per l’Italia, ma avverte della necessità di una «revisione generale del sistema sanzionatorio che vada oltre la pena detentiva come cardine esclusivo».

Di tutt’altro tono il commento del Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, secondo il quale la decisione «segna il fallimento delle politiche adottate dal Dap». Perché la diminuzione del numero di detenuti – passati dai 66.028 del gennaio 2013, ai tempi della condanna di Strasburgo, ai 58.925 attuali, secondo i dati diramati ieri dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – è, per il Sappe, «la conseguenza del varo, da parte del Parlamento, di quattro leggi svuota carcere in poco tempo». Donato Capece, il leader del sindacato, tra i più conservatori nel panorama delle sigle penitenziarie, chiede perciò una nuova guida per il Dap «capace di introdurre vere riforme all’interno del sistema, a partire dal rendere obbligatorio il lavoro in carcere».

Nel contesto generale di «moderata soddisfazione» e di incitamento ad andare avanti, esce decisamente fuori dal coro solo la voce dei Radicali italiani. «Fa inorridire il giudizio del Consiglio d’Europa: “significativi risultati”, quasi si possa stabilire una gradazione della tortura, dei trattamenti inumani e degradanti – è il giudizio della segretaria Rita Bernardini – I tre metri quadri a disposizione di ogni detenuto sono calcolati chissà come e ottenuti violando altri diritti umani come la deportazione di migliaia di reclusi in istituti lontani centinaia di chilometri dalla propria famiglia».

La sentenza Torreggiani è «ancora attualissima», secondo la leader radicale che ricorda «l’inaccessibilità alle cure, il problema dei tossicodipendenti in carcere, le condizioni igieniche disastrose, le attività trattamentali di lavoro e studio praticamente inesistenti, le morti e i suicidi». Perciò, promette Bernardini, insieme a Marco Pannella «proseguiamo la nostra lotta per l’amnistia e l’indulto subito, forti anche del messaggio del Presidente Napolitano». Che oggi, più di prima, rischia di finire dimenticato.

Dal Quirinale, invece, nessun commento.