In relazione all’articolo «Guerra di cifre sui detenuti» pubblicato il 29 aprile mi permetto alcune osservazioni.
La Corte di Strasburgo nel gennaio del 2012 con la sentenza Torreggiani ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante perché, all’inizio del 2012, almeno 17000 detenuti vivevano in uno spazio minimo pari o inferiore ai 3 metri quadri. La condanna suona come una censura alla politica penitenziaria nel Paese, con conseguenze, non irrilevanti, anche di natura economica in relazione ai possibili risarcimenti a cui la Corte potrebbe condannarci al termine dell’anno concesso per presentare un credibile piano d’azione. Per modificare questo stato di cose bisognava mettere mano a una riforma sostanziale dell’attuale regime penitenziario, ma, contestualmente, come assoluta necessità, anche aumentare lo spazio di fruibilità per singolo detenuto, e farlo in fretta nell’imminenza della scadenza del maggio 2014.

Della difficoltà degli interventi da operare, l’Amministrazione era, ed è, ben consapevole, ma si è cercato di utilizzare quella sentenza come occasione di cambiamento. Ci siamo fatti forza del messaggio del Presidente Napolitano, ci hanno agevolato le riforme varate dal Parlamento, abbiamo avuto la possibilità di disporre di nuovi istituti. È stato un lavoro in collaborazione costante con le altre istituzioni, e da parte nostra, avendo a disposizione risorse limitate, abbiamo dovuto chiedere, e lo abbiamo ottenuto, un impegno senza precedenti a tutto il nostro personale.

Credo che un primo obiettivo sia stato raggiunto, le leggi varate negli ultimi due anni hanno portato alla diminuzione degli ingressi in carcere e a un aumento delle misure alternative, per cui il numero delle presenze è calato, in un anno, da 66.000 circa alle 59.717 attuali, e il dato è in calo, permettendo di azzerare le situazioni critiche al di sotto dei tre metri quadri. Basta questo? Per evitare la condanna a Strasburgo possiamo dire di essere moderatamente ottimisti, ma, prevenendo obiezioni, chiarisco: il sovraffollamento permane.

A fronte di 59.717 detenuti presenti, abbiamo a disposizione solo 44.369 dei 49.131 posti esistenti nei nostri istituti, 4.762 non risultano agibili e stiamo cercando di recuperarli con interventi di manutenzione nonostante la scarsezza delle risorse. Questi i dati reali, verificabili in ogni momento e, d’altronde, mi chiedo, che interesse avremmo a dare cifre alterate? Potremmo, forse, ingannare l’opinione pubblica, non certo la Corte di Strasburgo.

E, sull’argomento della loro pubblicità, vorrei tentare di chiudere una polemica insorta con gli amici di Antigone. Riconosco che la nota diramata in periferia, con cui si riportava al Dipartimento la competenza a fornire i dati, poteva generare equivoci, ma se nel contempo non è stata mai negata una sola autorizzazione all’ingresso negli istituti, a loro come ad altre associazioni, ai giornalisti, come si può ipotizzare un intento censorio?

I dati devono essere sottoposti a continuo vaglio non potendo più ammettersi approssimazioni o contraddittorietà, per cui è essenziale che sia un’unica fonte a fornirli e questa fonte non può che essere l’organo centrale.

Un’ultima considerazione, la vera sfida non è evitare la condanna di Strasburgo o limitarsi ad aumentare i metri quadri a disposizione del detenuto nella cella, bensì incidere sul regime penitenziario per adeguarlo ai precetti costituzionali. Lo sappiamo e su questo si è appena iniziato a operare nel verso giusto, ideando la realizzazione di circuiti regionali e differenziando gli istituti, cercando di riportare la cella a mero luogo di pernotto con il prolungamento dell’orario di permanenza all’aperto, incrementando le attività trattamentali, aumentando gli orari dei colloqui, le attività sportive, ma il più, con onestà, è ancora da realizzare.

Noi manteniamo tutto il nostro impegno, ma è fondamentale che l’attenzione mostrata dalle altre istituzioni e dalla società esterna non vengano meno, perché l’Amministrazione penitenziaria da sola non può creare nulla, il carcere, così, rimarrebbe confinato nel limbo di sé stesso. La speranza è che le sinergie di oggi vadano oltre l’emergenza, diventino sistema. Solo così Strasburgo si trasformerà da un momento amaro per il nostro Paese a una raggiunta occasione di riscatto.

* vicedirettore del Dap