«Un detenuto su sei in attesa del primo giudizio, uno su tre in custodia cautelare. Uno su quattro è tossicodipendente, uno su tre entra in carcere per violazione delle leggi sulle droghe». La fotografia della popolazione e delle condizioni carcerarie scattata dall’Associazione Antigone con il Rapporto di metà anno 2021 a ben vedere mette in luce anche alcune lacune della riforma della giustizia che il governo si appresta a varare.

«IL NUMERO DEI DETENUTI condannati in via definitiva negli ultimi 18 mesi è cambiato in maniera considerevole: se al 31 dicembre 2019 questi rappresentavano il 68,3% della popolazione reclusa totale, a giugno 2020 erano scesi al 66,9% per poi tornare a salire al 67,8% al 31 dicembre 2020 fino a raggiungere il picco del 69,4% di giugno 2021», si legge nel testo che il presidente Patrizio Gonnella, la coordinatrice nazionale Susanna Marietti, il dirigente Alessio Scandurra, l’avvocata Simona Filippi e il coordinatore dei Garanti territoriali Stefano Anastasia hanno presentato ieri. Se poi guardiamo ai soli detenuti stranieri, «la percentuale dei condannati in via definitiva scende di due punti percentuali».

Ma la questione importante è che l’”intoppo” non si trova tanto nei tempi del giudizio d’Appello o su quelli della Cassazione: «Al 30 giugno 2021, il 15,5% dei detenuti era recluso in attesa di primo giudizio, il 14,5% era condannato ma non ancora definitivo». «Dati ingiustificatamente elevati a confronto con gli altri Paesi Ue», fa notare Alessio Scandurra.

L’ALTRO NODO DOLENTE sottolineato dal rapporto stilato dopo aver visitato nell’ultimo anno, nonostante la pandemia, 67 istituti di 14 regioni, è la questione “droghe”. Dei 53.637 detenuti per 50.779 posti ufficialmente disponibili, con un tasso di affollamento ufficiale del 105,6% (ma il tasso reale medio è 113,1% perché i posti effettivamente disponibili a fine giugno erano 47.445, con punte del 200% di affollamento come a Brescia e un tasso reale sopra il 150% in ben 11 istituti), i detenuti per violazione del Testo Unico sulle droghe sono 19.260 (il 15,1% sul totale delle imputazioni). La stragrande maggioranza uomini. Ma la percentuale sale al 30,8% sul totale per quanto riguarda gli ingressi in carcere nel corso del 2020 per questo tipo di reati.

La maggioranza di essi è per violazione dell’articolo 73, quello che punisce e sanziona la produzione, la detenzione e lo spaccio di sostanze, compresa la coltivazione di marijuana (malgrado la sentenza 12348/2020 delle Sezioni unite della Cassazione). «Nel 2020 – si legge sul rapporto – il 38,6% delle persone che sono entrate negli istituti penitenziari era tossicodipendente. Nel 2005 erano il 28,41%». Dieci punti percentuali in più.

GUARDANDO LA REALTÀ delle carceri si capisce dunque che, come sottolinea Scandurra, «il fenomeno droghe è il principale motore del sovraffollamento e delle recidive». Anche perché, aggiunge, «le tossicodipendenze tornano ad aumentare» e il percorso di reinserimento nella società per questo tipo di rei è ancora più difficile. Di sicuro «il carcere non è il percorso migliore». Se si considera poi il «grande problema dell’innalzamento dell’età media» dei detenuti («la fascia di età più rappresentata è tra i 50 e i 59 anni, il 18,1% sul totale; solo lo 0,9% ha tra i 18 e 20 anni; l’1,7% ha più di 70 anni»), appare evidente che la strada per il decongestionamento dei penitenziari passa per «la depenalizzazione di tutto il consumo di stupefacenti, a partire dalla cannabis». L’associazione Antigone invita anche a riflettere sui costi: «I soli costi di detenzione si aggirano sui 120/130 euro al giorno – ragiona Scandurra – mentre il costo di una comunità è 10-15 volte inferiore. E i risultati in termini di recidiva sono molto migliori».

NON È PURTROPPO SUPERFLUO ricordare poi che la maggior parte delle carceri italiane versa in condizioni cattive, a volte pessime. Per non parlare della mancanza strutturale di operatori, di educatori, di salute. Il sistema di comunicazione, per dirne una, è fermo agli anni ’70. I giornalisti fanno fatica ad entrare (da Bonafede in poi molto di più) e i bambini fanno fatica ad uscire. Per questo, come ha riferito Susanna Marietti, Antigone ha stilato una dettagliatissima proposta di riforma del regolamento penitenziario, quello che dà indicazioni effettive sulla vita interna del carcere. E pensare che i reati più gravi sono in diminuzione: «Nel primo semestre del 2021 sono stati registrati 140 omicidi, di cui 57 hanno avuto come vittime delle donne (49 uccise in ambito familiare/affettivo). Un decremento del 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il calo riguarda anche i femminicidi, passati da 66 a 57 (-14%)».

MA LE VIOLENZE, nei carceri, continuano a ripetersi, come negli anni più bui. L’avvocata Simona Filippi fa il punto dei fascicoli aperti nelle procure e seguiti da Antigone: Santa Maria Capua Vetere, certo, ma anche Modena, dove durante le rivolte del 2020 sono morti 8 detenuti, più uno che è deceduto dopo il trasferimento ad altro istituto. E Melfi, dove «è ancora più marcata la distanza temporale tra le rivolte dei detenuti, avvenute il 9 marzo, e l’intervento degli agenti nella notte tra il 16 e il 17 marzo con il trasferimento dei reclusi ad altri carceri». Proprio quella notte, ricostruisce Filippi, ci sarebbe stata una sorta di rappresaglia, sullo stile del carcere campano. almeno a stare ai racconti «dettagliati e analoghi» raccolti dall’associazione che si è opposta all’archiviazione del caso.