Sorride, un viso bellissimo di bambina africana. Alle sue spalle s’intravedono altre due bimbe: una scena di normale serenità immortalata in quello che sembra un tipico contesto subsahariano. È solo una foto. Chissà se questa bambina è una delle tante vittime senza nome dalla fuga da guerre e miseria, mentre l’Europa discute di quote, hotspot galleggianti e di migranti economici. Ce ne sono tante altre di fotografie come questa: sono custodite e raggruppate nelle teche del “Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo” a Lampedusa, inaugurato ieri dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, e promosso dall’Associazione nazionali delle vittime civili di guerra, dalla Fondazione Falcone e dal Comitato 3 Ottobre. Tanti gli oggetti in mostra, tutta roba recuperata nei barconi di legno sbarcati nell’isola delle Pelagie o trovati addosso alle vittime. Ognuno rappresenta una storia. C’è il documento di identità di un giovane pakistano, Muhammed Imram. Ci sono bigliettini scritti con numero di telefono, ci sono copie del Corano, libri in arabo, cellulari avvolti nel cellophane in un tentativo disperato di salvarli dall’acqua, anellini, orologi, passaporti e boccette di profumo. Pezzi di vita di alcuni dei 52 migranti che lo scorso agosto morirono soffocati nella stiva di un barcone. A donarli è stata la direzione distrettuale antimafia di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi. Gli effetti personali di chi non ce l’ha fatta sono stati dissequestrati dal pm Geri Ferrara, nominato componente onorario del comitato scientifico del museo, che ha arrestato gli scafisti dell’imbarcazione, diventata la tomba di 52 persone. I superstiti raccontarono agli investigatori che alle vittime, fatte viaggiare nel boccaporto del barcone avendo pagato di meno per la traversata, fu impedito di salire in superficie con la violenza e che per questo morirono soffocati.

In un angolo c’è una copia di Siddharta di Herman Hesse. È l’ultimo libro letto da Giulio Regeni, prima di essere ucciso in Egitto. La famiglia ha voluto donarlo al museo, assieme a un origami del ragazzo, recuperato da un consulente. Ma c’è anche altro nel museo, opere giunte da Tunisi e da Firenze. «Abbiamo deciso di portare a Lampedusa, oltre a una maschera del VI secolo a.C., opere di arte moderna che rappresentano la visione artistica del cambiamento e della rivoluzione in corso in Tunisia», dice il direttore del Bardo, Moncef Ben Moussa. Dagli Uffizi di Firenze è arrivato “l’Eros Dormiente” di Caravaggio, simbolo di speranza e accoglienza. «Torna nelle sue acque di origine, e non solo per un motivo artistico, l’Eros Dormiente del Caravaggio, simbolo di accoglienza e speranza». «Caravaggio lo dipinse nel 1608 mentre, ricercato per omicidio, si era rifugiato ed era stato accolto a Malta», ricorda il direttore degli Uffizi Eike Schmidt. «L’Amore che dorme – sottolinea – ricorda i tanti bambini, partiti sui barconi, che non ce l’hanno fatta. Ma il nostro è anche un messaggio di speranza e di solidarietà ed è monito dell’amore che dobbiamo risvegliare verso chi ha bisogno». Per Mattarella «l’Italia e l’Europa sono debitori di riconoscenza a Lampedusa per le vite salvate, per l’assistenza, per la prima ospitalità date ai migranti». Perché «è la porta d’Europa e la base per un ponte tra i continenti», «l’isola ha offerto a chi è arrivato, e la sente come seconda patria, il volto migliore dell’Europa». Ma «per affrontare un fenomeno come quello delle migrazioni serve l’impegno di tutti. L’Italia e Lampedusa non possono essere lasciate sole». Mattarellaha poi voluto incontrare alcuni dei migranti presenti nell’hotspot in contrada Imbriacola, in particolare donne e bambini provenienti dal Corno d’Africa. Al momento nel centro ci sono 214 persone, undici giorni fa erano oltre cinquecento. Per il sindaco Giusi Nicolini «Lampedusa è una grande nave che ha acceso i suoi fari e ha preso a bordo i viandanti del mare e ha dato opportunità a chi non ne aveva e salvato vite». E ha ricordato il senso di abbandono sofferto dagli isolani, «anche se non abbiamo mai smesso di fare quello che potevamo».