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Caracas, in Plaza Sadel il pacifismo double face

Caracas, in Plaza Sadel il pacifismo double faceCaracas, proteste nei quartieri agiati della capitale

Venezuela In cinque settimane di protesta organizzata dall'opposizione per far cadere il governo di Nicolas Maduro, i morti sono saliti a 39

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 1 aprile 2014

Plaza Sadel a Caracas come Tahrir al Cairo? O come Majdan a Kiev? Per i media privati venezuelani, non c’è alcun dubbio: il gruppo di studenti – della Ucv, Usb, Upel e Ucsar – che da sabato si è accampato in piazza Sadel per protestare contro «la dittatura» di Nicolas Maduro, richiama le manifestazioni egiziane del 2011 a Piazza Tahrir.

Un capovolgimento di segno possibile solo occultando la realtà dei fatti e il contesto in cui avvengono. Giova ricordare che, grazie ai vasti piani di riforme sociali messi in campo dal governo socialista da 15 anni a questa parte, l’istruzione è gratuita. Al termine del percorso universitario, gli studenti non trovano il buco nero della disoccupazione, ma un ventaglio di scelte aperte. Non per niente – indicano le inchieste -, la stragrande maggioranza dei giovani non ha nessuna intenzione di andarsene dal paese come invece sono obbligati a fare i giovani talenti nei paesi europei.

Le proteste di opposizione partono dai quartieri bene della capitale – com’è quello de La Mercedes, sede di Plaza Sadel -, dalle università private, e negli stati in cui la rimessa in causa dei rapporti di proprietà confligge maggiormente con gli interessi, occulti o palesi, di chi non si rassegna a vedersi sfuggire il grosso della torta. In Plaza Sadel o a Los Palos Grandes, gli accampati chiedono l’intervento delle Nazioni unite o degli Usa contro una «dittatura che impedisce la libertà di espressione».

Nessuno, però, ha impedito loro di installare tende e servizi igienici e di chiamare via via a raccolta altri gruppi provenienti da tutto il paese. Di giorno, i manifestanti esibiscono sulle magliette la Mano bianca della «non violenza» modello balcanico (quella del gruppo Otpor gemellato aineonazisti di Javu). Di notte, la maglietta si rivolta per diventare il cappuccio del guarimbero.

A Maracaibo, un italiano di 33 anni, Roberto Annese, è morto per l’esplosione di un ordigno rudimentale destinato alla Guardia nacional boliviariana (diversa è invece la versione fornita dall’opposizione). Un quarantaquattrenne è invece rimasto ucciso dai fili dell’alta tensione mentre cercava di organizzare una nuova barricata (la guarimba) con cui bloccare la strada.

Nella maggior parte del paese, i venezuelani continuano la vita di sempre. Nel fine settimana una grande manifestazione ambientalista ha posto al centro la difesa della natura, «violentata dai guarimberos che bruciano gli alberi e i parchi». Secondo le ultime inchieste, Maduro e il suo «governo di strada» hanno un gradimento di quasi il 60% (confermando la tendenza registrata alle ultime municipali dell’8 dicembre che hanno dato al chavismo il 67% dei municipi). Quasi ogni giorno, vengono recuperate tonnellate di alimenti destinati al contrabbando oltrefrontiera.

Persistono, però, alcuni focolai di violenza organizzata, col plauso di Voluntad popular (il cui leader, Leopoldo Lopez, è in carcere con l’accusa dei associazione a delinquere con finalità di terrorismo) e dei gruppi oltranzisti di Maria Corina Machado. Domenica, Winston Vallenilla, presidente di Tves (che trasmette sulle frequenze un tempo assegnate all’emittente di opposizione Rctv) è stato aggredito e picchiato in un ristorante. Stessa sorte era toccata, qualche settimana fa, alle famiglie di alcuni noti attori, nonostante la presenza di un bambino piccolo. Nella capitale, sono intanto arrivati studenti da ogni parte del Latinoamerica e dei Caraibi per un congresso internazionale sul tema dell’educazione.

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