Cara operatrice e operatore sociale, sono sicuro che quando avrai sentito parlare del progetto di economia solidale e circolare denominato ESC ti sarai chiesto che cosa abbia mai a che fare la tua attività giornaliera con l’economia circolare, la sostenibilità, la giustizia climatica e ambientale.

Tra le tante attività umane che producono un impatto sulla natura, l’economia solidale, non ha un impatto ambientale particolarmente rilevante: questo avrai pensato.

Città piene di auto, allevamenti industriali che emettono un gas climalterante come il metano, attività produttive che consumano energia e usano risorse naturali, scarti ovunque, anche quelli alimentari e qualcuno chiede conto alla cooperazione sociale dei suoi impatti ambientali? Qualcuno potrebbe pensare che collegare questi aspetti possa addirittura essere fuori luogo. Un’attività svolta essenzialmente con le persone in che modo potrà mai impattare sulla natura. Eppure le questioni ambientali e sociali sono fortemente intrecciate, più di quel che si immagini, praticamente indissolubili.

Prima di tutto perché una vita che si svolge attorno alla disponibilità di beni materiali, ai consumi – un immane produzione di merci – e a bisogni considerati illimitati è sempre causa di esclusioni, e quindi di malessere fisico, mentale e spirituale, nonché di appropriazione e di degrado della natura.

Anche l’intreccio tra «gruppi esclusi» e i rischi ambientali è molto più profondo di quel che si pensi: i luoghi dove sono maggiormente presenti i gruppi sociali più vulnerabili (tipicamente immigrati, minoranze etniche, neri, bambini, donne, disabili, poveri, comunità Lgbtq) sono anche quelli dove vengono insediati gli impianti a più alto impatto ambientale.

Il concetto di ingiustizia ambientale ci fa ben comprendere la connessione tra le disuguaglianze economiche, sociali, di riconoscimento, di genere e, in ultima analisi, di accesso ai benefici del modello di sviluppo.

Si parla di ecologia sociale, un filone di pensiero del Novecento – di esponenti come Murray Bookchin, Pëtr Alekseevič Kropotkin, Élisée Reclus – proprio quando si lega l’attuale crisi ecologica con il modello di sviluppo.

Non solo in senso tecnico-economico ma anche per la costruzione psicologica profonda della società, fondata su una struttura di dominio che, per poter esistere, implica lo sfruttamento, esteso anche verso la natura. L’ecologia sociale ritiene che sia più importante il modo in cui le persone si relazionano fra di loro – fattore generatore di crisi economiche, sociali ed ecologiche – che il numero complessivo di persone che popolano il sistema terrestre.

La Laudato si’ fa esplicito riferimento alla necessità di trasformarci da dominatori dell’universo a suoi amministratori responsabili: «Nella modernità si è verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali. Per questo è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo. Una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo. Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile».

E per quel che riguarda l’adesione alla prospettiva dell’ecologia sociale, il passaggio della Laudato si’ è ancora più netto: «Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali. In tal senso, l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione. All’interno di ciascun livello sociale e tra di essi, si sviluppano le istituzioni che regolano le relazioni umane. Tutto ciò che le danneggia comporta effetti nocivi, come la perdita della libertà, l’ingiustizia e la violenza».

Proprio per questa ragione non possiamo sottrarci, neanche noi, operatori di un settore che sembra avere a che fare più con le persone che con la natura, ad avere una visione planetaria, realmente universale, del modo in cui viviamo e operiamo, tutti i giorni. Se non abbiamo mai il tempo di immaginarci un futuro migliore, finiamo anche noi per proseguire lungo un percorso scontato, magari solo perché non abbiamo sufficientemente ragionato sulle alternative migliori. Eppure tutte le attività che svolgiamo giornalmente hanno a che fare con una nostra relazione – predatoria o equilibrata, di sfruttamento o ri-generativa – con l’ambiente che ci circonda, con la natura, con gli ecosistemi. Sia se questa attività è quella ordinaria, interna, non caratteristica, sia se si tratta di attività rivolta all’esterno, ovvero il servizio che produciamo. Non possiamo più proporre azioni e iniziative contro l’esclusione sociale se non collegandole con il loro risvolto, la devastazione ecologica.

Le nostre azioni hanno infatti direttamente o indirettamente a che fare, con sei grandi temi ambientali:

  • le emissioni di anidride carbonica, il principale gas serra, che provocano un aumento della temperatura, sperimentato annualmente anche in Italia, e catastrofiche conseguenze ambientali, sociali ed economiche: si tratta di emissioni legate essenzialmente al consumo di energia elettrica, alla possibile produzione di energie rinnovabili, alla mobilità, agli apparecchi e agli impianti che abbiamo installato e utilizziamo;
  • il consumo delle materie prime, che vengono estratte annualmente dalla crosta terrestre, in particolare quelle definite come «critiche», che rendono potenzialmente praticabile il sentiero di una economia non fossile, che usa energie rinnovabili, e digitale, da tutti creduta de-materializzata e definita «intelligente»: si tratta di consumi legati ai prodotti che acquistiamo quotidianamente;
  • la riduzione della produzione dei rifiuti, prevenendo la formazione dei rifiuti e degli scarti alimentari, e acquistando ed utilizzando beni che provengono da materiali riciclati e, a loro volta, riciclabili (economia circolare) e gestendo in modo corretto la raccolta differenziata all’interno degli spazi lavorativi (toner, carta, imballaggi, organico);
  • la riduzione delle emissioni in aria, in acqua e nel suolo, anche se queste emissioni sono caratteristiche dei processi produttivi industriali e che, in questo caso, sono più legati agli inquinanti indoor, alla mobilità e all’uso di sostanze chimiche nel terreno;
  • la riduzione dei consumi idrici, acquistando beni a ridotta impronta idrica (ad esempio la carta nel cui processo produttivo può essere impiegata più o meno acqua oppure una dieta a meno consumo di carne), evitando gli sprechi d’acqua (ad esempio nella gestione del verde) e utilizzando l’acqua di rete al posto dell’acqua minerale;
  • la tutela delle foreste e della biodiversità, attraverso acquisti responsabili della carta e degli arredi – per la gestione sostenibile delle foreste – e soprattutto al cibo e alla gestione del verde, che può prevedere, o meno, l’impiego di piante autoctone.

Peraltro questi tematismi ambientali somigliano a quelli che il Next Generation EU ha posto alla base della propria iniziativa e sarebbe veramente singolare che quando la sostenibilità entra al centro dell’agenda politica, la nostra azione collettiva non riesca a coglierne tutti gli aspetti.

Tutti questi temi sono fortemente collegati anche ai temi sociali, ovvero al rispetto dei diritti sociali e umani lungo le catene di fornitura (ad esempio quelle collegate ai prodotti tessili e all’agricoltura), al sostegno del commercio equo solidale, soprattutto quando si fa uso di prodotti esotici, e al sostegno delle economie locali giuste, solidali, sostenibili. Il collegamento tra i temi ambientali e quelli sociali La matrice socio-ecologica sopra identificata – se fatta vivere a livello della singola organizzazione e del singolo operatore – permette di testimoniare, in prima persona, la trasformazione ecologica in corso.

Una trasformazione che può riguardare tre ambiti distinti:

  1. il proprio spazio lavorativo, ovvero la sede del lavoro e la sua operatività ordinaria;
  2. il servizio svolto, il cui processo produttivo può essere «ecologizzato»;
  3. le persone: gli operatori e gli utenti dei servizi che possono cambiare gli stili di vita e di consumo.

In ognuno di questi ambiti è necessario individuare, comprendere e condividere le pratiche trasformative volte a ridurre la nostra impronta ecologica attraverso l’azione collettiva e individuale. È importante capire le ragioni del cambiamento, non più procrastinabile, la direzione e le azioni da produrre, nel breve e nel lungo periodo.

Una trasformazione che non può però limitarsi alla gestione di aspetti tecnici, tecnologici od organizzativi ma deve accompagnarsi a sei cambiamenti radicali nel «modo di pensare», sei dimensioni cognitive che è indispensabile migliorare in fretta, ponendole al centro della riflessione della nostra cooperativa e dello stesso CNCA.

Un cambiamento di sguardo che adotti:

  1. Una prospettiva d’insieme: i problemi che oggi affrontiamo – come ha messo in risalto la pandemia – sono globali e necessitano di un modo di pensare che sia anch’esso globale;
  2. Un’empatia globale: visto che i problemi ambientali, sociali, economici e connessi alla salute sono interdipendenti su scala planetaria è necessario che il perimetro della nostra empatia si allarghi fino a comprendere le persone che vivono dall’altra parte del mondo. Il nostro senso di comunità deve diventare anch’esso planetario, evitando, al contrario, il formarsi di comunità ostili;
  3. Una passione per il futuro: l’Unione Europea ha dovuto intitolare il proprio programma «Next Generation» per ricordare che è proprio l’assenza di uno sguardo verso il futuro a produrre conseguenze nefaste sul versante ambientale e sociale;
  4. Uno sguardo «lento, profondo e dolce»: riprendendo la prospettiva di Alex Langer, contro i danni derivanti dalla «grande accelerazione» dell’Antropocene occorre riproporre il messaggio di una riconciliazione con la natura basata su una vita più semplice, perché forse la rivoluzione sarà proprio nel tirare il freno d’emergenza;
  5. Interconnessioni e complessità: è emerso con chiarezza come le interconnessioni tra le sfide ambientali e sociali sia la scommessa della sostenibilità. Cambiamento climatico e salute delle persone, tutela della biodiversità e accesso all’alimentazione, fonti energetiche rinnovabili e sicurezza energetica, riduzione dell’impronta idrica e diritto a una prosperità sostenibile, sono tutti temi fortemente collegati e non ammettono – quasi mai – «soluzioni locali».

L’occasione non va persa. Il lavoro di oggi – sulle nostre organizzazioni, sulle nostre attività, sulle nostre persone – per orientare, non subire, una transizione ecologica è un passo indispensabile a ripensare il nostro futuro. Fermarci sulla soglia, per indifferenza o per paura, o peggio, per boria, sarebbe un errore gravissimo.

Si tratta di intraprendere, insieme, un percorso di giusta transizione: non abbiamo molto tempo da perdere.

L’autore della lettera

Silvano Falocco, economista ambientale ed esperto di politiche per la sostenibilità, strumenti per la produzione e il consumo sostenibile e analisi del ciclo di vita. Coordina il Forum Compraverde Buygreen. Insegna Green Public Procurement al Master e all’Executive Master in Procurement Management dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata. È coautore di diversi volumi tra cui Acquisti sostenibili, Contabilità ambientale, Riconversione: un’utopia concreta, delle voci Ecologia nel volume Reloaded. Glossario minimo di rigenerazione politica, Il Green Public Procurement e il Life Cycle Costing nel volume Ossigeno per la crescita. Coordina inoltre la Scuola di Politica Danilo Dolci ed è coautore del racconto storico La Resistenza a Roma. Orazione civile.